La quarta ed ultima Stanza dell’appartamento al secondo piano del Palazzo Apostolico venne commissionata da Leone X a Raffaello nel 1517, come ricorda il Vasari nelle Vite del Sanzio e di Giovan Francesco Penni. Il maestro però, negli ultimi frenetici anni di vita, fece in tempo solo a preparare i cartoni e dunque ad ideare il complesso decorativo. Egli morì infatti nel 1520 e la decorazione venne portata a termine esclusivamente dagli allievi di Raffaello entro il 1524 e coordinata per lo più dal migliore fra questi: Giulio Romano (1499-1546).
La sala era destinata a ricevimenti e cerimonie ufficiali e prende il nome da Costantino (306-337 d.C.), primo imperatore romano a riconoscere ufficialmente la religione cristiana concedendo la libertà di culto. Sulle pareti sono raffigurati quattro episodi della vita dell’imperatore, i quali testimoniano la disfatta del paganesimo e il trionfo della religione cristiana, un evidente ed ulteriore richiamo alla delicata situazione politica contemporanea: la Visione della Croce, la Battaglia di Costantino contro Massenzio, il Battesimo di Costantino e la Donazione di Roma. Raffaello riprese dunque il programma politico delle due stanze precedenti, chiudendone così il ciclo. Completano la decorazione della sala figure di grandi pontefici fiancheggiate da figure allegoriche di Virtù, mentre lo zoccolo mostra finte specchiature marmoree con cariatidi sormontate dallo stemma Medici, alternati ad episodi della vita di Costantino a monocromo. Nelle strombature tra le finestre si trovano poi episodi allegorici e storici eseguiti da Perin del Vaga (1501-1547), un altro celebre collaboratore di Raffaello.

Tuttavia, sono gli affreschi a meritare maggiore attenzione, a partire dalla Visione della Croce, che si dirama sulla parete est. Attribuito a Giulio Romano e, per le parti più scadenti, a Raffaellino del Colle, l’opera descrive la premonizione che l’imperatore Costantino ebbe alla vigilia della battaglia contro Massenzio, quando gli apparve in cielo la croce accompagnata dalla scritta «In hoc signo vinces»: egli avrebbe ottenuto la vittoria se avesse sostituito le aquile imperiali sulle insegne dei soldati con la croce, riconoscendo così ufficialmente la religione cristiana. La scena si ispira, nella composizione generale, agli episodi dell’Adlocutio presenti in numerosi rilievi dell’Antica Roma (come ad esempio sulla Colonna Traiana o sull’Arco di Costantino). Mostra infatti il comandante che, da un piano rialzato, arringa l’esercito per spronarlo alla vittoria. Da notare infine la veduta di Roma (a destra sullo sfondo) con la ricostruzione dei monumenti antichi.

La Battaglia di Costantino contro Massenzio è la trasposizione grafica della storica Battaglia di ponte Milvio (312 d.C.), che si concluse con la sconfitta di Massenzio (raffigurato sulla destra, mentre sta per annegare insieme al suo cavallo nel fiume Tevere e riconoscibile in virtù della corona posata sul capo) e la vittoria del cristianesimo sul mondo pagano. La scena è ambientata con esattezza topografica a nord di Roma; sul lato sinistro dello sfondo campeggia infatti Monte Mario, sul quale è riconoscibile Villa Madama, costruita da Raffaello per il papa proprio in quegli anni. Al centro incede trionfante Costantino su un cavallo bianco, macinando i nemici sotto gli zoccoli; gli si parano davanti le truppe avversarie, che si piegano però alla sua inarrestabile avanzata. In alto, tre apparizioni angeliche confermano l’esito divino della battaglia. Il progetto iniziale di questo riquadro dovette essere certamente di mano del maestro urbinate, ma l’esecuzione fu affidata ancora una volta a Giulio Romano.

Nel terzo affresco, il Battesimo di Costantino, l’imperatore si inginocchia per ricevere il sacramento da papa Silvestro all’interno del Battistero Lateranense; assistono alla scena due personaggi contemporanei, Carlo V e Francesco I di Francia. Papa Silvestro è raffigurato sia in questo episodio che nel successivo con le fattezze di Clemente VII de’ Medici (pontefice dal 1523 al 1534), durante il cui pontificato furono ripresi i lavori nella sala, interrotti dopo il breve intervallo di Adriano VI (pontefice dal 1521 al 1523), e furono dipinte le ultime due storie. In questo caso, la realizzazione dell’opera è attribuita a Giovan Francesco Penni (1488-1528) con qualche intervento di Giulio Romano, forse nell’architettura.

Infine, trova spazio la raffigurazione della Donazione di Roma, ossia l’evento leggendario in cui l’imperatore Costantino fece dono a Silvestro I della città di Roma (simboleggiata dalla statuetta dorata della Dea Roma) e dei territori pertinenti, fondando così il potere temporale del Vescovo di Roma e la nascita dello stato della Chiesa. L’opera in questione immortala quello che si è in realtà dimostrato un clamoroso falso storico, del quale non esiste alcuna testimonianza, come provato dall’umanista Lorenzo Valla nel 1440. Tuttavia, è evidente che i pontefici di casa Medici ignorarono deliberatamente tale confutazione, poiché decisero di concludere l’intero ciclo storico degli appartamenti pontifici a celebrazione del Papato proprio con questa scena trionfale, ambientata all’interno (poi distrutto) della Basilica di San Pietro. L’esecuzione di tale riquadro è di solito riferita a Giulio Romano, che forse si avvalse dell’aiuto del Penni e di Raffaellino del Colle.
Per quanto riguarda l’originario soffitto ligneo di Leone X (pontefice dal 1513 al 1521), questo fu sostituito al tempo di Gregorio XIII (pontefice dal 1572 al 1585) dall’attuale volta, la cui decorazione ad affresco venne affidata per ordine del pontefice al pittore siciliano Tommaso Laureti, che iniziò i lavori nel 1582 e li portò a compimento alla fine del 1585, sotto Papa Sisto V (pontefice dal 1585 al 1590). Egli eseguì nel riquadro centrale il Trionfo della religione cristiana, che allude alla distruzione degli idoli pagani e alla loro sostituzione con l’immagine di Cristo, ordinata da Costantino in tutte le parti dell’impero. Intorno allo spazio centrale, invece, l’artista dipinse otto regioni d’Italia, rappresentandone due in ciascuno dei quattro pennacchi, e tre continenti: l’Europa, l’Asia e l’Africa. Agli angoli della volta sono infine raffigurate le imprese di Gregorio XIII, mentre nel fregio sopra ai quattro episodi della vita di Costantino sono riportati gli elementi araldici di Sisto V.

Martina Scavone
Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.