ArtePrimo PianoQuando l’ordinario diventa straordinario: la saliera di Benvenuto Cellini

Valentina Bortolotti15 Maggio 2019
https://lacittaimmaginaria.com/wp-content/uploads/2019/05/afaff.jpg

Benvenuto Cellini è stato un grande artista fiorentino nato nel Cinquecento, secolo incendiato dalla “querelle” sulla dimostrazione della superiorità tra pittura e scultura. Viaggiò moltissimo nelle botteghe orafe di Bologna, Pisa e Roma, dove trovò l’interesse di papa Clemente VII che lo nominò capo della bottega pontificia nel 1529. A Roma mise il suo genio a disposizione dei cardinali, tra cui Ippolito d’Este, per i quali realizzò numerosi abbellimenti per le loro fastose tavole.

Proprio al cardinale ferrarese aveva presentato il progetto di una saliera: Ippolito suggerì all’artista di consultare due letterati, tali Alamanni e Cesano, affinché potessero consigliare l’iconografia più opportuna. L’idea era di ottenere una saliera che «avrebbe voluto uscir dall’ordinario di quei che avean fatto saliere». Anche se il Cellini aveva ricevuto delle chiare disposizioni, com’era prevedibile preferì seguire il sesto senso e il genio tipico degli artisti. Fu così che presentò a Ippolito un modello in cera, sfortunatamente non pervenutoci, che suscitò la meraviglia del cardinale il quale giudicò il progetto troppo costoso e meritevole di un committente diverso, suggerendo Francesco I.

Inizia così un periodo estremamente felice per l’artista che dal settembre del 1540 si sposta a Parigi. Quello che visse il Cellini doveva rassomigliare a qualcosa di estremamente simile al sogno di un bambino catapultato nel mondo dei balocchi: Francesco I, infatti, fu un committente decisamente incline a soddisfare i bisogni artistici dello scultore, concedendogli senza limite l’oro e l’argento necessari per le sue realizzazioni. Non ci rimane difficile capire perché, per Cellini, questo fu un periodo caratterizzato da uno straordinario fervore artistico. Servirono tre anni per terminare quello che è universalmente riconosciuto come il capolavoro d’oreficeria dell’artista.

Realizzate in stile Manierista, le due figure principali rappresentano la terra e l’acqua – opposte e complementari – impersonate da Gea e Nettuno. Accanto a quest’ultimo c’è un galeone la cui funzione era quella di contenere il sale.

Accanto a Gea invece è stato posto un tempietto, sormontato dalla personificazione dell’Abbondanza, che doveva contenere il pepe.

Nella fascia esterna, all’interno di ovali smaltati, vengono rappresentate le personificazioni dell’Arora, del Giorno, del Crepuscolo e della Notte.

Si tratta di un richiamo abbastanza forte alle allegorie michelangiolesche della Sagrestia Nuova di Firenze.

Ad esse si aggiungono quattro teste di Venti, uno per ogni punto cardinale, con le guance gonfie.

L’equilibrio della composizione è ottimale se la guardiamo dall’alto, come doveva essere quando posta su una tavola, in modo che ogni sua parte risultasse armoniosa. L’opera non restò a lungo in Francia: nel 1570 re Carlo IX la donò all’arciduca Ferdinando II del Tirolo, zio di sua moglie Elisabetta d’Austria. Dalle collezioni degli Asburgo l’opera di Cellini passò al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

La saliera ha fatto parlare di sé anche nella storia recente, quando Robert Mang la rubò nel 2003. Dopo il furto dell’opera – stimata 50 milioni di euro – seguì la richiesta di riscatto per 10 milioni. La saliera fu successivamente ritrovata all’interno di una cassa sepolta in un bosco a nord di Vienna. L’Arsenio Lupin austriaco, con questo gesto sconsiderato, non solo è rimasto a mani vuote ma si è guadagnato ben 4 anni di prigione.

Valentina Bortolotti

Nata a Roma, è laureata in Storia dell’arte e attualmente sta studiando per ottenere il patentino da accompagnatrice turistica. Fotografa autodidatta, guida turistica in erba, ama trascorrere il tempo nei musei in solitaria.