Nell’antichità, a chi si appellava la popolazione in caso di malattie, o peggio, di epidemie? Nel mondo greco vi era una divinità, Asclepio, che a Epidauro era conosciuto con il nome di Soter e Katharsios: risanatore dei morbi. Il nome sembra derivare dalle sue prerogative guaritrici ed è identificato come “colui che risana dolcemente”. È incerta l’origine del suo culto, anche se, secondo Strabone, egli nacque come un eroe guaritore accompagnato dall’attributo del serpente.
Secondo le narrazioni mitiche, la venerazione di Asclepio in Grecia iniziò prima della fine del VI secolo a.C. Inizialmente egli era l’eroe tassalo dalla natura ctonia, dotato di poteri divinatori, spostatosi in seguito nella sfera apollinea fino a essere divinizzato; pertanto veniva raffigurato con la corona di alloro, pianta medicinale sacra al dio della poesia. Il suo culto si affermò quando la fede tradizionale cominciò a vacillare e a non rispondere più alle esigenze spirituali dell’uomo. In tale periodo, con la nascita dell’urbanesimo e le collettività statali, le malattie, le ferite corporali e la morte diventarono un problema sociale.

Nell’iconografia solitamente Asclepio veniva raffigurato come un giovane con la barba, dall’aspetto benevolo e paterno, stante o seduto in trono, avvolto in un “himation”, che lasciava scoperta la spalla o il tronco. I suoi attributi distintivi sono in particolare il bastone a cui si appoggiava e al quale si attorcigliava il serpente, due elementi che «posti insieme significano la sanità del corpo mantenuta per vigor dell’animo, e degli spiriti», come affermò Cesare Ripa nell’Iconologia.
Si pensa che la rappresentazione di questa divinità munita di bastone e serpente si debba probabilmente a una leggenda, la quale narra che un giorno, mentre Asclepio pensava in che modo resuscitare l’eroe Glauco, teneva in mano un bastone, sul quale cercò di salire un serpente. Il dio, infastidito, lo uccise a bastonate. Poco dopo giunse un altro serpente che pose sulla testa del serpente morto un’erba grazie alla quale resuscitò. Asclepio allora trovò la soluzione che stava cercando per far resuscitare Glauco, utilizzando la stessa erba usata dal serpente.
Spesso Asclepio è raffigurato anche con l’”omphalos”, una pietra conica – grezza o lavorata – che rappresenta l’ombelico del mondo, centro fisico e spirituale conservato a Delphi. Altri suoi oggetti caratteristici sono il cane, le oche, lo scettro, il rotolo di pergamena o la tavoletta, la corona o il fascio di papaveri. Il culto di Asclepio era anche legato alle attività della palestra e dell’educazione, connesse all’igiene e alla salute, strettamente legate alla pratica medica ippocratea. Per tale motivo, i templi greci e romani a esso dedicati erano nelle prossimità dei ginnasi, come a Pompei, e delle scuole mediche dell’antichità, come A Cos e Cnido.

In ambito romano, Asclepio prese il nome di Esculapio e, come narra Plinio (Naturalis Historia, XXIX, 16) per ordine dei Libri Sibillini, egli fu introdotto a Roma come divinità in seguito all’epidemia del 293 a.C. Qui fu dunque edificato un tempio dedicato a Esculapio, ma fu costruito fuori dal pomerio cittadino, in quanto si trattava di un dio straniero. Il primo gennaio in onore di Esculapio si tenevano le feste “Aesculapius”, in cui il popolo romano ringraziava il padre della medicina con preghiere e sacrifici. Il dio era connesso direttamente ai medici, pertanto la sua figura con il passare del tempo venne modellata su quella dei medici, allontanandosi sempre di più dalla pratica magica, fino a essere onorato come antenato dei conoscitori dell’arte medica.
Ma, dunque, chi si rivolgeva ad Asclepio/Esculapio per cercare un beneficio? Le evidenze archeologiche ed epigrafiche ci forniscono la risposta: a lui si rivolgevano uomini di ogni estrazione sociale che avevano malattie giudicate incurabili, che non potevano sostenere le spese mediche o che non volevano cure dolorose. Il dio ridava la salute a chi era malato, soprattutto tramite la pratica dell’”incubatio”, che prevedeva un sonno ristoratore nel tempio durante il quale il dio invocato – che solitamente era Asclepio, ma poteva anche essere un’altra divinità salutare quale Iside e Serapide – appariva al paziente e apportava la guarigione o direttamente oppure fornendogli informazioni mediche utili per la cura. Queste ultime, chiamate “sanationes”, venivano trascritte dai sacerdoti, inizialmente su tavolette di legno e in seguito, a causa del loro deterioramento, riportare su stele di pietra, allo scopo di conservare la tradizione di queste guarigioni sacre e divulgare la magnificenza del dio. Sono proprio questi reperti che, analizzati attentamente dagli studiosi, hanno permesso di scoprire quali fossero le antiche cure, composte perlopiù da erbe ed elementi naturali, spesso associate a una corretta igiene e alla pratica di esercizi fisici.

Ulteriori testimonianze di queste pratiche e della buona riuscita, sono le iscrizioni votive rinvenute nei templi in cui i pazienti, ormai guariti dal dio, attestavano la loro gratitudine in tutta la Grecia, sottolineando la causa della malattia, il sogno rivelatore e la guarigione ottenuta. Mentre per quanto riguarda il mondo romano, le epigrafi gratulatorie sono molto più brevi: vi era trascritto soltanto il nome del dedicante e il ringraziamento per la guarigione ottenuta.

Inoltre, sempre per ringraziare il dio, in tutti i templi greci e romani a esso dedicati sono stati ritrovati degli “ex voto” anatomici raffiguranti l’organo guarito (alcuni sono a forma di orecchio, forse a significare il desiderio di essere ascoltati dal dio).

Anna D’Agostino
Classe '93, laureata in Storia dell'Arte con una tesi in Museologia sull'arredamento dell'Ambasciata d'Italia a Varsavia dalla quale è scaturita una pubblicazione in italiano e polacco. Prosegue la ricerca inerente l'arredamento delle Ambasciate d'Italia nel mondo grazie a una collaborazione con la DGABAP del Mibact. É iscritta al Master biennale di II livello "Esperti nelle Attività di Valutazione e di Tutela del Patrimonio Culturale".