La «bliss of solitude» («beatitudine della solitudine») è ciò che William Wordsworth delinea nel componimento poetico noto come I Wandered Lonely as a Cloud (Vagavo in solitudine come una nuvola) o, semplicemente, Daffodils (Narcisi o Giunchiglie). Queste due possibili denominazioni del brano inquadrano tutto il contesto lirico in cui il poeta compose questi versi: il vagare mette in luce la tipica figura del Wanderer romantico, assorto tra le sue meditazioni e alla ricerca di ciò che è impossibile da definire nel mondo reale ma che si staglia ben distinguibile nel suo animo, caratteristiche tutte magistralmente leggibili nel famoso Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, divenuto emblema del poeta romantico. L’altro titolo col quale la poesia è nota, Daffodils, rappresenta invece ciò che ha condotto il poeta alla riflessione che lo accompagna nello svolgersi dei suoi versi, attraverso i quali proietta la propria interiorità in un mondo che gli permette di godere di quella beatitudine solitaria.
William Wordsworth, tra i principali esponenti del primo Romanticismo britannico, ha espresso nelle proprie poesie la tendenza spirituale panteistica, facendo della natura e delle proprie leggi l’unico vero credo al quale poter sottostare. Quasi come uno Stille im Lande («mansueto della terra», cit. Salmo 35, v. 20), epiteto che tra il Seicento e il Settecento indicò gli appartenenti al movimento pietista, Wordsworth si dedicava alla ricerca di un edificante isolamento agreste. Nella poesia The Rainbow l’io poetico dichiara di sentire un sobbalzo al cuore ogni volta che la visione dell’arcobaleno gli si presenta innanzi: esso suggella per lui il sentimento più vivo dell’essere e del sentirsi in mistica unione col creato. Il divino nella dimensione naturale trova il suo culmine nella poesia Ode: Intimations of Immortality, in cui la visione del mistico si esprime attraverso i versi
Dove è andato il baluginio visionario?
Dove sono ora la gloria e il sogno?
Il baluginio, celebre “visionary gleam”, è puro riflesso del poeta, è quel fenomeno che – appunto in Daffodils – descrisse con una maestria senza eguali: la luce eterea di questa visione quasi onirica si distribuisce sulle punte ondeggianti dei narcisi nel campo e assieme a loro fluttua anche il pensiero del poeta, sospinto ora in un clima rurale, ora nel salotto della propria casa, dove il suo «inward eye» («occhio interiore») è abbacinato dal bagliore di ciò che vede. La facoltà poetica deriva dal contemplare nella «bliss of solitude» le esperienze compiute nella completa immersione nel creato. Un procedimento, questo, analogo a quello che descrive Werther quando si trova in solitudine nella natura: «Sono solo e sono lieto di essere vivo in questo luogo creato per anime come la mia». La solitudine, allora, costituisce conditio sine qua non affinché l’artista possa divenire ispirato e quindi produttivo.
Vagavo solitario come una nuvola
che fluttua in alto sopra valli e colline,
quando all’improvviso vidi una folla,
un mare, di giunchiglie dorate;
vicino al lago, sotto gli alberi,
tremolanti e danzanti nella brezza.
Intermittenti come stelle che brillano
e luccicano nella Via Lattea,
si estendevano in una linea infinita
lungo il margine della baia:
con uno sguardo ne vidi diecimila,
che scuotevano il capo danzando briose.
Le onde accanto a loro danzavano; ma esse
superavano in gioia le luccicanti onde:
un poeta non poteva che esser felice,
in una tale compagnia gioiosa.
Osservavo – e osservavo – ma non pensavo
a quanto benessere un tale spettacolo mi avesse donato:
poiché spesso, quando mi sdraio sul mio divano
in uno stato d’animo ozioso o pensieroso,
esse appaiono davanti a quell’occhio interiore
che è la beatitudine della solitudine;
e allora il mio cuore si riempie di piacere,
e danza con le giunchiglie.

Lucia Cambria
Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.