LetteraturaPrimo PianoWilliam Blake e gli «stati contrari» di Dio

Lucia Cambria13 Gennaio 2020
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«Without contraries is no progression» («senza opposti non vi è alcun progresso»), è dichiarato all’inizio di The Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno, 1790-93), opera in prosa del padre della poesia visionaria: William Blake (1757-1827). Egli fu sempre affascinato dalla questione dei contraries, ovvero della duplice visione delle cose. Gli elementi opposti del mondo sono chiamati a essere parte integrante del Tutto, della Creazione divina: «Attraction and Repulsion, Reason and Energy, Love and Hate, are necessary to Human existence» («Attrazione e Repulsione, Ragione ed Energia, Amore e Odio sono necessari all’esistenza Umana»), continua su The Marriage of Heaven and Hell, e si potrebbe dire che questa frase sintetizzi brevemente il pensiero bleakiano, il quale conobbe espressione più concreta nella realizzazione di una raccolta poetica dall’eloquente titolo Songs of Innocence and of Experience (Canti dell’innocenza e dell’esperienza, 1794). Il sottotitolo, Showing the Two Contrary States of the Human Soul (Rappresentanti i due stati contrari dell’anima umana), annuncia un’attenzione nei confronti dell’inevitabile dualismo che si viene a formare nel momento in cui ci si allontana dall’innocenza e si procede verso l’esperienza.

I Contrary States, gli opposti, Innocence ed Experience, sono compresenti nella raccolta Songs of Innocence and of Experience come simbolo del bene e del male, elementi necessari affinché il mondo esista, imprescindibili per la creazione di un equilibrio. In tal senso, fu alle dottrine del teosofo tedesco Jakob Böhme che Blake si accostò: secondo tali ideologie, Dio esiste in quanto materia originaria dell’universo, impossibile da identificare né col bene né col male. L’essenza di Dio è quindi un Tutto formato da ogni cosa: contiene sia i germi del bene che quelli del male, è luce e tenebra, ha una volontà benevola e una iraconda.

Songs of Innocence and of Experience sono allora una rappresentazione di questa dicotomia presente nell’universo secondo l’ordine creato da Dio, il quale, godendo di questa duplice natura, ha imposto alla sua opera le stesse peculiarità. Le poesie contenute nelle due sezioni rispecchiano quindi diverse percezioni, i «due stati opposti dell’anima umana», appunto. Per tale motivo, alcune delle poesie contenute in Innocence sono di riflesso presenti anche in Experience: ad esempio, a The Lamb (L’agnello) corrisponde The Tyger (La tigre), a Infant Joy (Gioia infantile) invece Infant Sorrow (Dolore infantile) e così via.

La teodicea, ovvero la leibniziana «giustificazione di Dio» di fronte alla compresenza del male e della giustizia divina, quindi l’ipotesi di un Dio che contenga in sé sia il bene che il male, e che è pertanto capace di crearli entrambi, è evidente nella coppia di poesie The Lamb e The Tyger. Il primo simboleggia l’innocenza e rappresenta il Cristo che si è fatto carne per la salvezza dell’uomo. La poesia è un dialogo tra un bambino e un agnello, in cui il primo spiega al secondo la purezza che li accomuna: entrambi sono stati creati da Dio, il quale è chiamato “Agnello” proprio come l’animale e, facendosi Uomo, «He became a little child» («divenne un piccolo bambino»). L’accento è posto però sull’atto creativo, grazie all’insistente domanda «Dost thou know who made thee?» («Tu sai chi ti ha creato?»).

La creazione è il punto nodale anche dall’altra poesia: la «fearful» («spaventosa») tigre è frutto dell’opera dello stesso Dio e il poeta pertanto, in The Tyger, si chiede: «Did he who made the Lamb make thee?» («Chi l’Agnello creò, creò anche te?»). Tra le fonti di ispirazione di Blake vi fu anche il testo biblico, per cui si potrebbe ipotizzare che la tigre sia un modo per riferirsi al «leone della tribù di Giuda» dell’Apocalisse, un’espressione utilizzata per indicare Gesù.

L’Agnello e la Tigre rappresentano allora per Blake i due «stati contrari» non solo dell’anima umana, ma anche dell’essenza divina, la cui dualità è evidente riflesso su tutto il suo Creato.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.