ArteLetteraturaPrimo PianoI misteri legati alla “porta della pescheria” del Duomo di Modena

Beatrice D'Angelo29 Dicembre 2019
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Il ciclo bretone – ossia la materia Arturiana – è estremamente misterioso, rappresenta le radici del romanzo cavalleresco e fonda le proprie nel folklore celtico. Tuttavia, ben prima di Chrétien de Troyes, è presente una testimonianza dalle origini oscure che riguarda direttamente Ginevra, Artù e i cavalieri della tavola rotonda: la “porta della pescheria” del Duomo di Modena.

Il Duomo è dedicato a San Geminiano e si affaccia su Piazza Grande. È una vera opera d’arte, su cui i nostri antenati hanno scolpito molti messaggi, che non sono comprensibili a tutti. La “porta della pescheria” – così chiamata perché in origine accanto ad essa era presente un banchetto del pesce – volge a settentrione ed è estremamente interessante: il suo archivolto raffigura dei cavalieri che, armati di lancia, danno l’assalto a un castello fortificato in cui è prigioniera una donna che sta con le mani giunte in segno di supplica. Da ciascun lato dell’archivolto sopraggiungono tre cavalieri, che si scontreranno contro i tre che stanno di guardia al castello (probabilmente la superiorità numerica dei cavalieri armati di lancia fa supporre l’esito dello scontro). Sulla cornice dell’archivolto sono incisi i nomi di ciascun personaggio: da sinistra troviamo Isdernus, poi un secondo personaggio che è l’unico senza nome (il nome “Artus de Bretania” è posto tra questi e il terzo personaggio, quindi non è facilmente intuibile chi dei due sia Artù, si propende per il terzo cavaliere), mentre proseguendo sul lato destro sono presenti Galvagin, Galvariun e Che. Vengono indicati anche i nomi dei personaggi che difendono il castello: Burmaltus, Mardoc e Carrado, mentre la donna è Winlogee.

In primo luogo, va notato come Artù (che è l’unico cavaliere a presentarsi a viso scoperto) non venga identificato come re, il che avalla la teoria che lo identifica come Artorius, condottiero britanno romano di truppe celtiche contro le invasioni dei Sassoni, degli Angli e degli Iuti durante il VI secolo d.C.. Per quanto riguarda i suoi compagni, Isdernus è Yvain, Galvagin è Galvano, il migliore e più antico cavaliere della tavola rotonda (nonché, secondo varie fonti, nipote di Artù e collegato direttamente alla divinità solare della mitologia celtica perché guadagnava forza man mano che il sole saliva in cielo fino a raggiungere il mezzogiorno). Galvariun è Galleron, mentre Che è Kay. La donna prigioniera, Winlogee, deriva il suo nome dal gallese Gweenhwyfar, che significa “anima bianca” oppure “incantatrice bianca”, ossia la sposa di Artù, Ginevra (che nelle opere di Chrétien de Troyes deriva il suo nome da “fantasma bianco”, che molto probabilmente indica una fata ed è riconducibile ai “side”, esseri soprannaturali di tradizione celtica). Ginevra viene imprigionata da Mardoc, ossia Meleagant, che viene difeso da un cavaliere gigante, Carados, e da un gigante di nome Burmalt.

La “porta della pescheria” non è però solo interessante per il suo valore artistico o per la scena che racconta, ma la particolarità è che la prima testimonianza di tale scena è presente in Durmat le Galoise, opera anonima del XIII secolo, ossia di cento anni successiva alla datazione della porta. L’episodio del rapimento nell’opera si conclude con un’altra donna, anch’essa rapita da Carados e Mardoc, che dona a Galvano una spada magica con la quale il cavaliere uccide Carados e guadagna assieme agli altri l’accesso alla fortezza, facendosi consegnare Ginevra e risparmiando Mardoc.

Queste discrepanze temporali portano gli studiosi a chiedersi come sia possibile che questa storia sia giunta fino a Modena, molto lontana dal luogo di nascita della stessa, cento anni prima che si diffondesse. Esistevano già prima della “porta della pescheria” una serie di opere che narravano di Artù e dei suoi cavalieri, tutte ovviamente derivanti dalla tradizione celtica, ma è solo dopo Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (1136-1138) che si inizia a scrivere di Artù come re (e abbiamo visto che sulla porta egli invece non viene identificato come re) e la sua storia si diffonde in Europa. Come è noto, in seguito questo genere di storie raggiungerà il successo con Chrétien de Troyes e i suoi romanzi cavallereschi.

Rappresentazioni analoghe alla “porta della pescheria” possono essere rintracciate a Bari, nella Basilica di San Nicola, in cui è presente la “porta degli otto cavalieri” che rappresenta una scena come quella del portale di Modena ed è dello stesso periodo (inizi del XII secolo). Ricordiamo che la Basilica di San Nicola è stata indicata come possibile luogo in cui è stato nascosto il Santo Graal e che al suo interno vi sono tante incisioni misteriose che se decifrate, secondo la tradizione, dovrebbero condurre ad esso.

Altro richiamo alla leggenda di Artù, risalente anch’esso al XII secolo, è il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, realizzato da un monaco chiamato Pantaleone. Il mosaico rappresenta raffigurazioni dell’Antico Testamento ma anche delle scene fuori contesto, come quella di Re Artù in groppa a un caprone e con in mano uno strano scettro ricurvo (tale scena è inserita all’interno della rappresentazione della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso).

Alla luce delle analisi condotte dagli studiosi della materia, l’ipotesi più probabile è quindi che i trovatori provenienti da nord siano passati per l’asse viario che collegava la Francia al sud Italia, e abbiano sparso sul loro tragitto briciole di storie, tra cui quella che possiamo leggere ancora oggi sulla “porta della pescheria”.

Beatrice D'Angelo

Nata a Messina, laureata in Lingue e Letterature Straniere, attualmente sta studiando per conseguire il titolo magistrale. Ama la musica, la storia, il buon cibo e la buona compagnia. Le piace catturare paesaggi con la sua macchina fotografica. Sfrutta ogni occasione per imparare qualcosa di nuovo e per viaggiare, soprattutto in treno.