Quando pensiamo alla letteratura, ci ricolleghiamo quasi sempre alla forma scritta; tuttavia, anche la forma orale è fondamentale. Esistono infatti dei popoli che basano la trasmissione e la conservazione della propria cultura su un metodo prevalentemente orale. La tradizione culturale orale è chiusa, e ciò comporta chiaramente dei limiti di diffusione e di prosecuzione nel tempo. Nelle tradizioni orali si ricorda in maniera stereotipica – essendo difficile ricordare tutto a memoria – e si cerca di ancorare i concetti, attraverso l’utilizzo di alcuni espedienti quali rime o ripetizioni. La cultura orale è solitamente condivisa, mentre quella scritta è personale. Oltre ai classici cantastorie, i popoli con cultura prevalentemente orale si avvalgono anche di proverbi e fiabe. Essendo quella orale una tradizione con dei limiti, vengono tramandati solo tipi selezionati di sapere, come i canti per le feste tradizionali.
L’oralità aveva massima importanza nella cultura medievale: nel Medioevo la lettura non era un’operazione individuale, ma c’era una persona che leggeva a pubblici spesso composti da dame e cavalieri nelle sale, e ciò avvenne almeno fino al XIII secolo. Tutto ciò costringe a distinguere comunicazione medievale orale e comunicazione medievale scritta. Va infatti ricordato che l’alfabetizzazione nell’alto Medioevo era appannaggio dei chierici, che quindi rispetto ai cavalieri e agli artigiani erano legati alla cultura scritta. Addirittura si dice che Carlo Magno, fautore della Rinascita Carolingia (movimento culturale volto a eliminare gli influssi dei volgari sul latino e a ripristinare l’uso di questa lingua), sapesse a malapena leggere e scrivere, perché all’epoca la cultura era a trasmissione prevalentemente orale e la scrittura era appunto delegata ai chierici, nel suo caso i monaci Benedettini. Si trattava, quindi, di una situazione opposta a quella odierna, che mutò quando venne inventata la stampa a caratteri mobili, nel 1455. Il libro divenne, infatti, uno strumento maggiormente fruibile e la lettura iniziò a essere un passatempo privato, piuttosto che un evento pubblico. Da quel momento perciò la lettura silenziosa non interessò più soltanto i monaci, che vi si dedicavano perché nei monasteri vigeva la regola del silenzio, ma tutti coloro che potevano permettersi l’acquisto di un libro.
Anche il nostro concetto di “portatore di cultura” cambia dalla tradizione orale a quella scritta. Solitamente nelle tradizioni orali il cosiddetto “saggio” ci fa pensare a un uomo anziano con la barba, mentre se pensiamo a un esperto di tradizione scritta è solitamente un giovane innovatore. Non si conosce con esattezza la data di nascita della scrittura alfabetica, benché si ritenga che essa sia da collocarsi attorno all’VIII-V secolo a.C., quando Omero viene trasposto in lingua scritta. Bisogna però pensare che la trasmissione scritta non sostituisce quella orale: entrambe le tradizioni camminano fianco a fianco e non sono nettamente separate. Basti pensare che la cultura degli illetterati era conosciuta anche dai letterati, mentre quella scritta passava anche dalle piazze e diventava quindi orale. È importante però sottolineare che, nonostante scritto e orale non sono totalmente divisi, la scrittura non potrà mai rendere perfettamente l’oralità. Infatti la corrispondenza perfetta tra grafia e pronuncia non esiste oggi come non esisteva in passato.

Beatrice D'Angelo
Nata a Messina, laureata in Lingue e Letterature Straniere, attualmente sta studiando per conseguire il titolo magistrale. Ama la musica, la storia, il buon cibo e la buona compagnia. Le piace catturare paesaggi con la sua macchina fotografica. Sfrutta ogni occasione per imparare qualcosa di nuovo e per viaggiare, soprattutto in treno.