L’epoca vittoriana fu senza alcun dubbio rappresentativa del culto del lutto e della necrofilia. Dal punto di vista sociale fu un periodo segnato da un alto tasso di mortalità, in quanto la medicina non era avanzata come quella moderna e le persone quindi morivano anche di malattie oggi facilmente curabili. A perire erano soprattutto i bambini delle numerose famiglie vittoriane e vi erano delle epidemie come quelle di colera o tifo, in particolar modo negli “slums”, i quartieri più poveri che furono teatro di molte opere di Charles Dickens. La morte non guardava in faccia nessuno e non faceva nemmeno alcuna distinzione di ceto: morì – infatti – di febbre tifoidea il Principe Albert, marito e grande amore della regina Vittoria.
Le persone avevano quindi un contatto quotidiano con la morte, tanto che si fecero labili i confini tra morte e vita. Si cercò un modo con cui ricordare i defunti e permettergli di vivere la quotidianità assieme ai vivi. Ciò modificò anche l’estetica del lutto: entrarono in uso gioielli con ciocche di capelli, anelli e spille da lutto, abiti neri e fotografie “post-mortem”. Un ulteriore collegamento tra la vita e la morte venne stabilito anche grazie alla nascita dello spiritismo, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Non solo: nacquero negozi esclusivamente dedicati all’estetica del lutto, come il Jay’s Mourning store, in cui venivano venduti veri e propri outfit da lutto per tutta la famiglia. L’ossessione per questo tipo di abbigliamento si fece ancora più acuta quando la regina Vittoria perse suo marito. Si dice infatti che la donna, non riuscendo a far pace con la morte dell’amato, preparasse per lui i vestiti sul letto tutte le mattine, proprio come faceva quando l’uomo era in vita. La regina continuò anche a indossare gli abiti da lutto fino alla sua morte, avvenuta quarant’anni dopo quella del marito, nel 1901. Per poter continuare a indossare la corona, che non riusciva a porre sul velo da lutto, ne fece fabbricare una più piccola.
Per quanto riguarda la letteratura, il sentimento di profondo dispiacere dovuto alla perdita di un caro si tradusse nelle elegie, componimenti di dolore e lamento per la morte di qualcuno a cui si voleva bene. Non a caso, infatti, il libro più famoso dell’epoca vittoriana non poteva essere altro che In Memoriam di Alfred Tennyson. Si tratta di una collezione di elegie iniziate dal poeta subito dopo la morte del suo più caro amico, Arthur Henry Hallam, deceduto poco più che ventenne, probabilmente a causa di un ictus. Il libro fu anche il preferito della regina Vittoria, tanto che la sovrana sostituì nella propria copia tutti gli “Arthur” con il nome del proprio defunto marito, “Albert”.
Il culto per il lutto in epoca vittoriana si tradusse anche in una vera e propria attrazione sessuale per le donne malate o morte, tanto che le giovani assumevano arsenico e oppio per sembrare pallide e malate, e quindi più attraenti. Dal punto di vista letterario, la nostra mente non può non richiamare Lucy Westenra, sfortunato personaggio del Dracula di Bram Stoker che è una delle prime vittime del mostro e rappresenta “in toto” l’idea della sensualità della giovane donna morta.
L’ossessione vittoriana per il lutto ebbe termine soltanto con l’avvento della prima guerra mondiale, quando tantissimi soldati rimasero uccisi senza potere avere una degna sepoltura, tanto che all’abbazia di Westminster venne sepolto il Milite Ignoto. L’orrore generato da tale massacro fu talmente scioccante da cambiare nuovamente la visione della vita e della morte.

Beatrice D'Angelo
Nata a Messina, laureata in Lingue e Letterature Straniere, attualmente sta studiando per conseguire il titolo magistrale. Ama la musica, la storia, il buon cibo e la buona compagnia. Le piace catturare paesaggi con la sua macchina fotografica. Sfrutta ogni occasione per imparare qualcosa di nuovo e per viaggiare, soprattutto in treno.