Quando ci si addentra nel Sacro bosco di Bomarzo ci si imbatte in una mostruosa sequenza di apparizioni, mostruosa nel senso etimologico del termine: meravigliosa! Si succedono statue amene o spaventevoli con accanto indovinelli enigmatici da sottoporre ai visitatori. Il principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino), il nobile proprietario del parco e del castello, fece realizzare nel 1547 il parco da Pirro Ligorio, l’architetto che portò a termine il progetto michelangiolesco di San Pietro.

Fu costruito sfruttando i massi caduti nel bosco a seguito di un sommovimento della terra. Quelle gigantesche rocce disseminate per il bosco sembravano dei mostri giganteschi. Il principe Orsini, consapevole di questa potenzialità, ha affidato a Pirro Ligorio il compito di dare vita artistica e letteraria a quei massi creando un parco dei mostri. Le rocce hanno preso vita disseminando di stupore i sentieri di questo bosco selvaggio e sacro, cristiano e pagano, antico e cinquecentesco. Meraviglia, stupore e ricordo dell’amata moglie scomparsa, Giulia Farnese, abitano il medesimo luogo.

Bomarzo rompe gli schemi del classicismo. Gli elementi che lo costituiscono non hanno una logica di proporzione tra di loro. Il percorso che lega le varie statue non è prestabilito e sembra privo di un ordine logico. Il senso di confusione e lo stupore giocano un ruolo straniante grazie anche ad allusioni misteriose ed esoteriche. Accanto alle statue sono incisi degli enigmi con soluzioni non palesate che Vicino Orsini sottoponeva ai suoi ospiti.

Un esempio è l’enigma della Sfinge:
“Chi con ciglia inarcate
et labbra strette
non ha per questo loco
manco ammira
le famose del mondo
Molisette”
“Tu ch(e) entri qua p(c)on mente
parte a parte
et dimmi poi se tante
maraviglie
si en fatte per incanto
pur arte”
É punto fisico di incontro tra Arte e Letteratura. Si nota in particolare l’esaltazione del Barocco e della letteratura cavalleresca. Un esempio letterario è il verso dell’inferno dantesco inciso sulle labbra dell’Orco. Letteratura e poesia dialogano secondo la celebre formula oraziana dell’ut pictura poësis. Si fondono iconologia cinquecentesca, iconografia e poesia.
Le opere del parco possono essere raggruppate per contenuti: una sezione è dedicata al regno degli Inferi, un’altra alle sette meraviglie del mondo (quelle antiche), una ai giganti, agli dèi e agli animali mostruosi. Vi sono anche opere architettoniche: fontane, la rotonda, il ninfeo, la casa pendente, il teatro, il tempio, il piazzale delle pigne. Un labirinto di simboli avvolge il visitatore sia a livello intellettuale che fisico.

Ercole e Caco, una statua gigante paragonata, nell’enigma inciso al suo fianco, al colosso di Rodi. É il simbolo della lotta del bene contro il male e della guerra tra i giganti. Ercole, l’eroe mitologico, uccide Caco squartandolo a mani nude.

Nell’enigma si legge:
“Se Rodi altier già del suo colosso
pur di quest il mio bosco ancho si gloria
e per più non poter fo quanto posso”.

Se Rodi era la città dei 100 colossi questa statua (e tutto il parco) poteva essere enumerata tra i suoi mirabilia.

Proteo, il primo mostro che si trova entrando nel Parco è la testa di Proteo, rappresentata con una gigantesca maschera dalla bocca spalancata.

Cerere, statua gigante della Dea, grande nutrice di Roma.


Orco o Ade, deve impaurire i visitatori specie quelli che hanno la presunzione di entrare nella sua bocca per poi sedersi sulla panca e mangiare nella tavola che c’è al suo interno. L’incisione sul suo labbro superiore, “Ogni pensiero vola“, è stata sostituita al precedente verso dantesco “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate“.
Così come ci sono statue giganti di déi, passeggiando si possono incontrare anche animali rappresentati in scale spaventose: l’orca, l’ariete, l’elefante, il delfino, i leoni, gli orsi, e la tartaruga.


Pegaso, il cavallo alato viene rappresentato negli stessi anni in altre due fontane coeve: a Bagnaia presso Villa Lante e a Tivoli presso Villa d’Este.

Il Ninfeo, uno dei pochi luoghi del parco in cui è possibile distendere i sensi. Conserva un’iscrizione incompleta:
“L’antro la fonte il li….. Et
d’ogni oscuro pensier gl…. m… com”


Le Grazie, tre fanciulle per mano.

La statua di Venere o Iside vestita come una antica matrona romana, ma dai lineamenti delle donne della Tuscia.

Teatro con obelischi: ogni giardino romano aveva un teatro che ricordava la tragedia e la commedia della vita.

Una tomba vuota e aperta vuole spaventare il visitatore, come un memento mori, ma, così come la cavità all’interno della bocca dell’Orco, può avere anche un risvolto ironico suggerendo all’ospite di scoprire che sensazione si provi distendenosi nel macabro giaciglio.

Una Panca etrusca riporta la seguente iscrizione:
“Voi che pel mondo gite errando vaghi
di veder maraviglie alte et stupende
venite qua dove son faccie horrende”.

Nel piazzale di fronte all’arco ci sono animali giganti e mostruosi. L’Elefante fortificato con la torre, la guida ed il legionario richiama l’elefante di Annibale.


Il Drago non combatte contro gli uomini ma contro altre tre belve.
Una Casa pendente viene costruita sopra un masso inclinato.

Infine il Tempio di Vignola chiude la serie di mirabilia del parco essendo stato costruito sulla sua sommità. Si tratta di un’opera “postuma”: fu infatti costruita circa venti anni dopo le altre opere per onorare la memoria della seconda moglie di Vicino Orsini.
