La ricchezza dell’Egitto sotto la dinastia dei Tolemei attirò molti popoli, che vissero in un mosaico di culture e tradizioni differenti sotto l’egida della corona di ascendenza macedone. In particolar modo, la comunità ebraica, numerosa ed influente, divenne componente imprescindibile della vita socioeconomica e culturale di Alessandria d’Egitto. La città, fondata da Alessandro Magno nel 331 a.C., divenne – sotto l’impulso dello stesso condottiero – la degna implementazione della base commerciale di Naucrati, rendendosi promotrice di un notevole cambiamento per il regno egiziano. Il governo tolemaico, in ragione dei rapporti economici stretti con gli Ebrei, decise di raccogliere una serie di informazioni su questo popolo, costruendo un quadro completo e utile per la creazione di comuni terreni d’incontro. La pianificazione di una precisa politica sincretica, infatti, era indirizzata al rafforzamento del potere dei Tolemei in Egitto, impegnati nella promozione della commistione tra le diverse culture e all’incontro tra il mondo greco-macedone e la tradizione egizia in modo particolare. Una conoscenza non superficiale della cultura ebraica, però, derivava anche dal legame tra Ebrei ed Egiziani, che, prima ancora dell’arrivo dell’esercito di Alessandro, si era concretizzato nell’arruolamento di Ebrei nella Idumea. Agli Ebrei che si stabilirono ad Alessandria, fin dai tempi della fondazione della città, erano stati offerti privilegi. Ad Alessandria, la comunità si era organizzata in un quartiere e si auto amministrava, avendo un proprio concilio e un etnarca. Per i Tolemei, ospitare una comunità ebraica di tal fatta era assolutamente conveniente: grazie ai rapporti con le altre comunità a oriente dell’Eufrate, essa faceva convergere su Alessandria una cospicua parte del traffico commerciale dei Paesi orientali.
Pur riconoscendo l’enorme importanza degli Ebrei d’Egitto, i Tolemei notarono il contrasto fra la religione che essi seguivano, quella egizia e quella ebraica. Già Tolomeo I, con l’intento di creare un ponte tra la cultura macedone e quella egizia, aveva cercato di introdurre il culto di Sarapide. Alla divinità, infatti, vennero date caratteristiche indigene ed ellenistiche insieme. Il dio aveva i connotati delle divinità olimpiche, ma conservava anche alcune caratteristiche di Osiride, attraverso le quali si pensava di associarlo al culto di Iside. Nelle rappresentazioni iconografiche, Sarapide ha le sembianze di Zeus, ma porta sul capo il recipiente usato per la misurazione del grano, così da essere associato a una divinità portatrice di fertilità da parte degli egiziani. Molto spesso, Sarapide venne poi connesso all’oltretomba, perché rappresentato con un cane a tre teste (identificato con Cerbero dai greci e connesso al culto di Anubi dagli egiziani). La connessione all’oltretomba facilitava l’identificazione di Sarapide con Osiride. Gli vennero poi attribuite caratteristiche proprie di Esculapio e fu reso un dio guaritore. Questo particolare fu sicuramente esaltato dalla compagine governativa, che si avvaleva delle doti intellettuali di Demetrio Falereo e Manetone. Demetrio Falereo, infatti, si diceva miracolato dal nuovo dio, che gli avrebbe restituito la vista. Nonostante il lento successo del culto ad Alessandria, dove fu anche costruito il Sarapeo, i tentativi di imposizione della nuova divinità fallirono. Si trattava, infatti, di un culto di origine artificiosa e intellettualistica, con elementi che richiamavano goffamente dettagli della religiosità egizia.
Dopo Tolomeo I, l’azione di Tolomeo IV si rilevò ancora più ambiziosa: con il culto di Sabazio-Dioniso, egli tentò di unificare la religione greca al monoteismo ebraico e alla religione egizia. Il culto di Sabazio era largamente diffuso in Lidia, in Frigia e a Pergamo. In Grecia, invece, il culto di Sabazio rappresentava una variante del culto di Dioniso e, in quanto tale, era stato accettato anche dai macedoni. Gli Ebrei, poi, usavano denominare il loro dio Sabaoth. Il tentativo, ugualmente fallimentare, si scontrò con le concezioni monoteistiche degli Ebrei, che ripudiavano l’idea di una divinità antropomorfa, e con le concezioni religiose degli Egiziani.
Un ulteriore sforzo di far convergere la religione greca e la religione ebraica si presentò con il culto di Zeus Ipsisto. Questo culto pagano, enormemente popolare in Macedonia, rivelava influenze greche ed ebraiche, ma gli Ebrei mal sopportarono i ripetuti tentativi di intromissione nella loro vita religiosa da parte di Tolomeo IV. Non era ammissibile, per la comunità ebraica, vedere associato un dio pagano al dio dei loro padri. Tuttavia, l’interazione tra ellenismo ed ebraismo si concretizzò sul piano linguistico. La lingua greca, infatti, si impose su quella ebraica, facendo in modo che la religione di questo popolo divenisse accessibile. L’influenza della concezione ebraica del divino divenne notevole, senza però decretare una spinta verso un indirizzo monoteistico.

Anita Malagrinò Mustica
Nata a Venezia, ma costantemente in viaggio per passione e lavoro, studia Lettere Classiche a Bari. Sognando di poter dedicare la sua vita alla ricerca e all’insegnamento, ha collaborato e collabora con varie realtà editoriali, scrivendo per diverse riviste di divulgazione scientifica e culturale. Appassionata di teatro e di poesia, porta avanti numerosi progetti performativi che uniscono i due ambiti.