ArteCinemaFotografiaPrimo PianoL’ossessione di fermare il tempo: un breve itinerario attraverso fotografia, cinema e storia dell’arte

Martina Lioi19 Aprile 2019
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Nel 1945 André Bazin, teorico del cinema e fondatore della rivista Cahiers du cinéma, scrive un saggio – Ontologia dell’immagine fotografica – all’interno del quale traccia un’originale lettura delle arti plastiche, dai graffiti al cinema, dimostrando come la fotografia sia stata parte integrante di questa evoluzione e infine spiegando il ruolo che il cinema ha assunto in questo sviluppo, chiudendo idealmente questo processo. Bazin parla del «complesso della mummia», sostenendo che alle origini dei graffiti e dell’imbalsamazione dei corpi c’era lo stesso bisogno fondamentale di esorcizzare l’azione distruttiva del tempo e di preservare il corpo attraverso la creazione di un suo doppio simbolico.

Procedendo in questa direzione, sembra che la storia delle arti plastiche appaia denominata da una certa esigenza ontologica di realismo che spingerebbe gli uomini a conservare ciò che è destinato a scomparire. Già nel primo Rinascimento, Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti misero a punto la tecnica della prospettiva e quindi l’illusione di rappresentare uno spazio tridimensionale, donando un nuovo impulso all’esigenza di realismo. Il Barocco si spinse ancora oltre, concentrando la rappresentazione dell’azione in un insieme espressivo: ne è un chiaro esempio l’Estasi di Santa Teresa d’Avila di Gian Lorenzo Bernini.

Gian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa d’Avila

La fotografia, portando a compimento il Barocco, è riuscita a liberare le arti plastiche dalla loro ossessione di rassomiglianza, secondo il principio di base per cui essa non è nient’altro che «una riproduzione meccanica da cui l’uomo è escluso», seguendo il ragionamento di Bazin. Tutte le arti si reggono sulla presenza dell’estro dell’uomo, ma per quanto un pittore possa operare impegnandosi nella fedele riproduzione della realtà, il risultato sarà sempre ipotecato da un’inevitabile soggettività. La fotografia, invece, è la rivelazione della realtà sottratta alla soggettività percettiva poiché, citando ancora Bazin, «crea eternità come l’arte ma imbalsama il tempo e lo sottrae alla sua corruzione».

Il cinema appare, invece, come il compimento del tempo dell’oggettività fotografica in quanto eredita dalla fotografia il realismo ontologico; esso rappresenta infatti la forma d’arte che maggiormente soddisfa l’esigenza dell’uomo di salvare l’essere mediante l’apparenza, imbalsamando in questo caso anche il tempo stesso. L’idea del cinema, o meglio della volontà di voler raccontare una storia attraverso le immagini, è insita nell’uomo ed è rintracciabile già nelle rappresentazioni di caccia nel periodo preistorico: si pensi al “mito della caverna” di Platone, ai bassorilievi che contornano la Colonna Traiana o ancora alla sequenza di fotografie scattate da Eadweard Muybridge durante lo studio sul movimento di un cavallo in corsa.

La celebre sequenza di Eadweard Muybridge

Secondo il critico cinematografico statunitense Noël Burch, il cinema nasce dalla fusione di due diverse spinte: da un lato il mito della ricreazione illusoria della realtà, dall’altro la ricerca di un evoluto strumento tecnico e scientifico che consenta di ampliare le potenzialità dell’occhio umano. Le arti plastiche, in particolar modo la fotografia e il cinema, definiscono la dimensione culturale di ciò che è tecnicamente, socialmente e storicamente orientato verso uno sguardo sulla realtà. Si pensi alla società odierna: siamo bombardati di immagini, selfie, fotomontaggi, video personali, storie sui social. Tutto questo è il risultato di un unico principio di base: conservare ciò che è destinato a scomparire, ricordando e simulando una realtà in questo caso del tutto soggettiva. Oggi le informazioni proliferano in maniera incontrollata, dai documentari alle fotografie post-prodotte. Ma tutto ciò che passa attraverso l’obiettivo è una realtà inevitabilmente filtrata.

Martina Lioi

Nata nella rigogliosa terra lucana, tra monti, dolomiti e colline, si appassiona fin da piccola alla fotografia. Il suo amore per le immagini culmina nello studio del cinema. Fervida sognatrice, indaga le teorie più disparate alla ricerca dell’essenza del cinema, quella in grado di conferire pure emozioni.