ArtePrimo PianoTra archeologia ed enologia: alcuni cenni su produzione, conservazione e consumo delle bevande

Alice Massarenti15 Luglio 2020
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Il consumo di bevande da fermentazione alcolica in Italia è legato al passaggio dalla Preistoria alla Protostoria, da comunità del tutto indifferenziate a comunità con prime forme di complessità sociale articolate in gruppi familiari. Nella definizione di bevande fermentate sono comprese bevande ottenute dalla fermentazione di materie prime con contenuto variabile di zuccheri responsabili della formazione di alcool e anidride carbonica destinata all’evaporazione: le birre di cereali, i vinelli di frutti selvatici con proprietà inebrianti dall’elevato contenuto di zuccheri fermentescibili, il vino dal frutto della vite e l’idromele dal miele.

In Italia fin dal Neolitico la produzione di bevande alcoliche ha lo scopo di disinfettare e pastorizzare liquidi dissetanti e moderatamente nutritivi per anziani, bambini e malati. Solo a partire dall’età del Rame sembra emergere un ruolo delle bevande fermentate per rituali di bevute comuni e per l’ottenimento di ebbrezza.

Nella fascia climatica della foresta temperata europea sarà frequente la mescolanza di cereali e frutti, compresa l’uva selvatica, per ottenere rapide fermentazioni e per aggiungere nell’ammostatura i saccaromiceti provenienti dalla buccia della frutta e non presenti nelle cariossidi dei cereali, o la produzione di mosti con insieme di frutti selvatici. Anche l’uso del miele in mescolanza coi cereali sarà frequente per elevare il tenore saccarometrico nelle prime fasi della fermentazione e per sfruttare le proprietà antibatteriche del miele, risultando una costante anche nelle produzioni di birra a basso tenore di luppolo fino al secolo scorso.

L’ammostatura della birra in area europea avveniva a partire dal malto del cereale macinato cui si aggiungeva acqua bollente per un’infusione di durata e temperatura variabile, poi la successiva fermentazione poteva durare da pochi giorni a una settimana e la maturazione finale anche alcune settimane. Si distinguono la virpa di avena, il cereale più adatto all’agricoltura preistorica nordica; la alica o arinca nel bacino del Mediterraneo e Italia, ottenuta sbiancando la farina di farro con latte o gesso bicarbonatico dei Campi Flegrei e aggiungendo acqua e miele; l’idromele puro che nell’età del Ferro, per la non abbondante produzione di miele tipica delle tecniche arcaiche di apicoltura e per la prevalenza del miele selvatico, resta ancora una bevanda preziosa e di lusso.

Nell’età del Bronzo appare particolarmente spinta la ricerca di frutta zuccherina per la creazione di bevande fermentate: nelle torbiere e nelle Terramare sono frequenti i ritrovamenti di bacche e frutta come corniolo, sambuco, mirtillo, mora, sorba, mela, pera, associati alla diffusione di forme vascolari potorie. Inoltre si affianca il progressivo ingentilimento della vite selvatica. Il dato è coerente con la tradizione della labrusca, termine preromano dal significato di “vite selvatica”, all’origine del nome stesso e delle tecniche di produzione del vino lambrusco. Dagli studi genetici tra i vitigni di lambrusco mantovano e la vite selvatica originaria europea sembra che l’Italia del nord abbia partecipato al processo di nascita della viticoltura nello stesso periodo in cui nell’Italia del sud e in Sardegna veniva introdotta dal Mediterraneo orientale la vite coltivata.

Dalle tracce etimologiche si riscontra nell’Età del Ferro europea anche una birra ben fermentata e inebriante più forte e gassosa della alica, il bryton. Simile al bryton era la celia, una birra chiara a base di frumento, e la curmi, una birra chiara a base esclusivamente d’orzo probabilmente addizionata con miele. Importante anche la ceruisia, la birra rosso-bruna a base di orzo tostato o fumigato non mielata e aromatizzata.

Il luppolo in Europa è una pianta endemica in boscaglie, siepi e radure al margine dei boschi tra 45° e 60° lat. N e conosciuta da Plinio il Vecchio come pianta alimentare, erba medicinale e aromatica fin dal IX secolo, quindi si può facilmente ipotizzare un suo utilizzo come aggiunta per aromatizzare e facilitare la conservazione della birra, come mostra un ritrovamento all’interno di un bicchiere nella tomba di Pombia. Nei corredi tombali si rileva una notevole ricorrenza di vasi per la conservazione e il consumo di bevande, ben documentati anche all’interno di stipi votive presenti in alcune necropoli. Sembra emergere un quadro molto articolato e complesso: in primo luogo una notevole varietà di fogge, poi la variabilità del luogo e modalità di deposizione, situati sia all’interno che all’esterno della tomba in possibili testimonianze di rituali di offerta. Un tale quadro rende difficile ipotizzare un utilizzo dei vasi potori nelle necropoli per il consumo e l’offerta di acqua; potrebbe invece trattarsi di una bevanda prodotta in ambito domestico come la birra. Il consumo di birre di diversa qualità è suggerito dalla varietà delle tipologie vascolari, mentre alcuni vasi con fogge e tecniche decorative non comuni possono rimandare a bevande di pregio.

Nella Cisalpina celtica questo sviluppo tecnologico della birra e l’abitudine a bere pura una bevanda di gradazione mediamente più alta delle miscele del mondo classico influenza gli indirizzi della viticoltura a partire dal VI secolo a.C., quando per influenza etrusca si diffonde anche in Transpadana la vite coltivata e la tecnica dell’alberata. Abituati a bere birra di buona gradazione, i Celti bevono puro – non addizionato di resine e aromi o annacquato – il vino tannico di produzione locale, ossigenato e invecchiato in botti di legno, differenziandosi in maniera notevole rispetto alla tradizione classica mediterranea di Greci, Romani ed Etruschi e aprendo la strada alla moderna enologia.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.