Lo “stream of consciousness” di Bob Dylan si snoda tra le pagine enigmatiche e pregnanti di citazioni, di cultura pop, di poesia, di Tarantula, romanzo che può dirsi più esercizio di scrittura, intreccio di parole che sarebbero potute divenire testi di canzoni, versi postmoderni.
Bob Dylan non ha bisogno di presentazioni. Ma forse l’aspetto meno noto è quello del Dylan scrittore, sebbene nel 2016 gli sia stato assegnato il premio Nobel per la letteratura per aver «creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana».
L’espressione poetica nuova appartiene decisamente anche a questa opera, scritta tra il 1965 e il 1966 ma pubblicata nel 1971. Quando il libro venne ufficialmente edito, era già divenuto un mito, poiché circolava in maniera ufficiosa da alcuni anni. Tarantula è un «libro di parole», così come definito da Dylan nel 1965, scritto con la tecnica del cut-up, ovvero formato da ritagli di altri testi incollati assemblati insieme per formare un nuovo testo.
Accostandosi alla lettura del libro, ciò che si incontra è infatti un’apparente gran confusione di parole che si susseguono, oltre che senza punteggiatura (come nello “stream of consciousness” joyciano), anche senza un reale filo logico: le immagini che vengono evocate si stagliano nella mente del lettore come in un variegato caleidoscopio di suggestioni, di citazioni, di rimandi musicali e letterari. Si va dal più citato Thomas Stearns Eliot a William Shakespeare, fino ad Aretha Franklin: Dylan mette in piedi alcuni dei principali pilastri della cultura occidentale per farsi egli stesso pilastro, egli stesso parte dell’olimpo di riferimenti del canone moderno.
A parte il caos percettibile a prima vista, il libro è strutturato su 47 capitoli, scritti in parte in prosa e in parte in versi: la struttura, ma anche alcuni dei temi, si mantengono in tutto il testo. Non c’è una trama, ma c’è un filo ininterrotto che si snoda tra un capitolo e l’altro, come per esempio le figure femminili di “aretha” (che rappresenta Aretha Franklin) e di “maria”. La prima è musa ispiratrice della musica e del canto, quindi è un essere angelico. La seconda rimanda a un essere più terreno. Le due figure sono complementari e ricorrono spesso tra i capitoli, passandosi il testimone dell’ispirazione.
Come va letto Tarantula? Essendo un esercizio di ispirazione e di scrittura, va trattato di conseguenza come esercizio di lettura e, oltre questo, va anche ascoltato. Sebbene esistano oggi delle traduzioni in italiano, il modo migliore per appropriarsi di questo fluire di suoni, di immagini e di parole sarebbe quello di leggerlo in lingua originale. Ogni parola si incastra perfettamente in mezzo alle altre, non semanticamente ma foneticamente: insieme formano un costante mormorio della coscienza dello scrittore che non va interrotto né interpretato. E non va interrotto nemmeno quel flusso che Dylan ha prodotto tra la prosa e i versi, i quali sono scritti sotto forma di lettera da parte di un fittizio mittente a non si sa chi:
«it then must be time for you to rest & learn new songs… forgiving nothing for you have done nothing & make love to noble scrubwoman
what a drag it gets to be. writing
for this chosen few. writing for any-
one cpt you. you, daisy mae, who are
not even of the masses… funny thing,
tho, is that youre not even dead yet…
i will nail my words to this paper,
an fly them on to you. an forget about
them… thank you for the time.
youre kind.
love an kisses
your double
Silly Eyes (in airplane trouble)»
Questa è la traduzione:
«allora sarà il momento di riposarsi per imparare nuove canzoni… niente da perdonare perché non hai fatto nulla nemmeno l’amore – o nobile donna di fatica
che palle scrivere
per questa cerchia ristretta. scrivere per chiunque
tranne che per te. per te, daisy mae, che
non fai neanche parte delle masse… il buffo,
comunque, è che non sei ancora neanche morta…
inchioderò le mie parole a questo foglio
e te le spedirò per via aerea. e mettici una croce
sopra… per ora ti ringrazio.
sei gentile.
con affetto, baci
il tuo doppio
Occhi Sciocchi (con un guasto aereo)»
Come si nota, molto arduo è trovare un’interpretazione a ciò che viene letto e, sebbene siano state fatte delle analisi del testo, nel tentativo di scandagliare i simboli e i significati che si celano dietro questo guizzare di luci e immagini, la cosa migliore resta quella di udire ciò che è scritto, di incastonarlo all’interno di quello che nella mente di Bob Dylan voleva essere: un monumento di inchiostro e carta all’ispirazione e anche un epitaffio, così come egli scrive in uno dei capitoli («here lies bob dylan»), di quella parte del Dylan-poeta che si è messa in gioco in questa opera. Vuole dirci che dentro ognuno di noi giace una parte defunta del nostro sé: ceneri di parole lette, di note ascoltate. Bob Dylan ha fotografato, e insieme sepolto, quell’io pregno di tutto questo.

Lucia Cambria
Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.