ArtePrimo Piano“San Michele sconfigge Satana” di Raffaello: la storia del dipinto

Martina Scavone6 Luglio 2019
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Raffaello, San Michele sconfigge Satana, 1518, cm. 268×160, Parigi, Museo del Louvre

Fin dal tempo del Vasari, tra le opere frutto della collaborazione tra il maestro e gli aiuti a lui più vicini furono considerati i tre dipinti commissionati a Raffaello tra il 1517 e il 1518 da Leone X come doni destinati alla corte francese in occasione delle nozze fra Lorenzo de’ Medici, duca d’Urbino, e Madeleine de la Tour d’Auvergne: la Santa Margherita, il San Michele sconfigge Satana e la Sacra Famiglia da donare a Francesco I re di Francia (detta appunto di Francesco I), nell’ambito degli scambi diplomatici che suggellavano la recente alleanza tra il re francese e il papato.

Leone X desiderava che giungessero a destinazione in tempo per le nozze, celebrate ad Amboise il 19 giugno 1518, ma gli ultimi due, che recano la firma di Raffaello, furono terminati nella tarda primavera del 1518 – per l’esattezza il 27 maggio 1518 – e dunque poterono essere inviati da Firenze a Lione solo quel giorno stesso. Erano infatti in corso le trattative per l’esecuzione del Trionfo di Bacco per il Camerino d’alabastro di Alfonso I D’Este, e queste due importanti commissioni spinsero il pittore a chiedere al Principe di Ferrara una dilazione temporale per la consegna del dipinto. Tuttavia, giunse ben presto un nuovo sollecito dalla corte estense, destinato questa volta ad essere in qualche modo soddisfatto. Nella corrispondenza tra il vescovo di Adria ed Alfonso I viene infatti citato un cartone che raffigura San Michele, il quale venne spedito a Ferrara come opera autografa di Raffaello nel settembre 1518, in dono e non come alternativa al Trionfo di Bacco. Se del cartone non ci restano tracce, ad oggi è però possibile ammirarne la trasposizione pittorica, ossia il San Michele sconfigge Satana o Gran san Michele, cosiddetta per distinguerla dalla tavola di analogo soggetto dipinta dal Sanzio, anch’essa conservata al Louvre, ma di dimensioni ben più ridotte (31 x 27 cm) e databile al 1505 circa.

Una volta portato a termine, il quadro venne inviato in Francia, dove fu oggetto di grande ammirazione nel corso del XVII secolo. Dipinta da Raffaello probabilmente in collaborazione con Giulio Romano (la cui maniera è stata rintracciata perlopiù nella figura di Satana e negli accessori dell’Arcangelo), non si trattava solo di un’opera destinata a piacere al sovrano, ma si faceva anche portavoce di un messaggio politico: trasparente era l’allusione ai nemici della Chiesa nella figura del demonio sconfitto. La scelta del tema dell’Arcangelo Michele che atterra il demone è poi un omaggio all’Ordine di San Michele, di cui Francesco I era “Gran Maestro”, e l’atteggiamento battagliero alludeva alla crociata contro i Turchi che il papa tentò vanamente di organizzare. Ma c’è di più, in quanto San Michele non solo era l’Arcangelo protettore della Francia, come testimoniano gli scritti del tempo, ma era stato particolarmente venerato anche da Carlo Magno; di conseguenza per Leone X donarne l’effigie a Francesco I era un gesto analogo, in certo qual modo, a quello di dipingere il ritratto del re francese nell’Incoronazione di Carlo Magno.

L’impegno dell’artista fu certamente grande nella superba invenzione iconografica, che godette a lungo di straordinaria fortuna in Italia come in Francia, anche per l’assimilazione – esplicita già in quegli anni – della figura di San Michele al mito solare di Apollo trionfante sul serpente Pyton. Le ali, le braccia e il manto che si irradiano in tutte le direzioni guidano lo sguardo dell’osservatore in volute concentriche verso la testa che si alza al di sopra dell’armatura d’oro: una testa di Apollo, il dio che aveva ucciso il serpente Pitone come Michele aveva ucciso il drago.

L’Arcangelo è raffigurato coperto fino ai fianchi da un’armatura di acciaio a squame dorate, dalla quale pende lateralmente la spada riposta nel fodero. Egli tiene le ali spiegate e si libra per l’aria, posando appena – ma con determinazione – la gamba destra sulla spalla sinistra di Satana dalle ali di pipistrello e la coda di drago, mentre stringe, sollevandola, l’asta della lancia, la cui punta è diretta a colpire il demonio. I bei lineamenti apollinei del Santo sono calmi e imperturbabili, chiari e pieni di armonia, diversamente da quelli di Satana, contraffatti ed agitati, dalle forme angolose, colossali e piene di forza.

La costa e le montagne sullo sfondo raccontano invece il lungo inseguimento dell’angelo, che cacciò il diavolo dal monte San Michele al monte Gargano, fino al momento in cui punta la lancia fiammeggiante contro il nemico armato di forcone, che si contorce disperatamente sulle rocce. Dunque, sopra l’energia malefica dei fremiti incontrollati osservabili nel corpo e nella testa del diavolo, campeggia lo straordinario volto di San Michele, considerato – come vuole il suo nome ebraico – il volto stesso di Dio, animato al contrario da determinazione e serenità. Il medesimo contrasto è infine rintracciabile nell’alternanza di luci ed ombre e nel paesaggio: in primo piano si ergono alcune rocce scoscese, dalle quali escono le fiamme dell’inferno. La parte più lontana invece, sulla quale stacca per tono la nobile figura dell’Arcangelo, è formata da colline verdeggianti che si estendono le une sulle altre, bagnate dalle falde del mare tranquillo che serpeggia nel mezzo.

Martina Scavone

Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.