Certi tesori rimangono racchiusi dentro fessure nascoste della storia che la caparbietà e la passione di studiosi riportano alla luce. Gli anni di studi e ricerche della storica dell’arte Claudia Viggiani sono stati ripagati da una mirabile scoperta che sveglia dal sonno silenzioso di nove secoli un affresco medievale, databile all’incirca al XII secolo, nella Chiesa di Sant’Alessio all’Aventino.

L’affresco di oltre quattro metri di altezza, riportato alla luce solo in parte, si sviluppa su due ordini e presenta al momento due figure astanti nella parte più alta, probabilmente Sant’Alessio e il Cristo entrambi in vesti da pellegrino, mentre in basso una figura con le ali dai toni purpurei si staglia davanti ad un edificio dalle colonne dorate e dalle sommità architettoniche vermiglie.
Nei novanta centimetri di lunghezza appena scoperti già un mondo iconografico rarissimo aspetta di essere studiato e, nell’attesa dello svelamento completo di questa eccezionale opera medievale, promette interessanti letture.

Dalle indagini della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma – guidata dall’architetto Francesco Prosperetti, con la direzione lavori di Mariella Nuzzo e Carlo Festa – portate magistralmente a compimento dalla restauratrice Susanna Sarmati, che ha messo in sicurezza l’opera, risulta che la figura del Cristo, ancora parzialmente preclusa alla vista completa, è incredibilmente intatta nella sua verità cromatica e nei suoi segni preparatori.

In un fondale nero assoluto, la vividezza delle aureole dorate incornicia i due volti e il rosso cinabro colora il mantello del Santo che introduce con il gesto della mano la figura del Cristo benedicente. Questi, in abiti purpurei, sembra portare il segno della stimmate sulla mano visibile della porzione di affresco, ancora nascosto da un muro dello spessore di circa un metro.

L’incredibile stato di conservazione, come dichiarato all’ANSA dalla dottoressa Sarmati, fa emergere chiaramente i segni delle pennellate e la fattura raffinata della cornice policroma che racchiude l’intera composizione, mai giunta sino a noi dal medioevo con una tale integrità.

Una lunga ricerca negli archivi della Soprintendenza ad opera della dottoressa Viggiano aveva condotto già nel 2005 ad una prima traccia documentale, risalente al 1965, in cui si faceva riferimento ad un affresco medievale dall’incredibile fattura e dal perfetto stato di conservazione all’interno di un luogo di culto romano non meglio specificato. Grazie al reperimento di un secondo documento, citante un’intercapedine ai piedi del campanile come collocazione del dipinto, è stato possibile, con l’aiuto dell’architetto Paolo Barbato, individuare la Chiesa di Sant’Alessio all’Aventino come depositaria dell’opera.
La Chiesa inizialmente dedicata a San Bonifacio, venne dedicata anche al culto di Sant’Alessio, patrizio romano del V secolo, figlio del senatore Eufemiano e della nobildonna Aglae, che scelse la vita penitente e umile del pellegrino, abbandonando la casa paterna e la propria promessa sposa per dedicarsi all’assistenza di poveri e malati. Al suo ritorno a Roma, dopo il viaggio in Mesopotamia, si narra che, tornato nella casa paterna sul colle Aventino, non venne riconosciuto dai propri familiari che tuttavia gli diedero ospitalità in qualità di pellegrino nel sottoscala del palazzo patrizio, per diciassette lunghi anni, fino al giorno della sua morte che ne rivelò l’identità e lo consacrò alla santità e al culto fervente dei fedeli.
Molte sono le opere letterarie dedicate alla vita del Santo e tre le versioni tramandate della sua vita: una siriaca del V secolo, una greca del IX secolo ed una latina del X, riportata e arricchita di particolari nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine. Secondo la tradizione la Chiesa sorge nei pressi della sua antica abitazione, conservando il suo corpo e la scala sotto la quale visse da pellegrino.
L’affresco, che decorava originariamente la controfacciata dell’edificio, fu occultato durante i lavori di rifacimento della Chiesa, tuttavia risulta evidente dagli attenti studi di restauro l’attenzione riservata alla sua preservazione, si suppone, inoltre, che per secoli venne lasciata aperta una piccola fessura in corrispondenza del volto del Santo per permettere ai fedeli la sua venerazione, a dimostrazione di quanto fosse diffuso a Roma il suo culto.
Negli intenti della Soprintendenza e delle studiose c’è la volontà di restituire alla pubblica fruizione questo tesoro del 1100, quale esempio straordinario dell’elegante e fine produzione artistica medievale. Un dono alla città di Roma che si conferma inesauribile fonte di ricchezze storico artistiche.

Nicoletta Provenzano
Nata a Roma, storica dell’arte e curatrice. Affascinata dalle ricerche multidisciplinari e dal dialogo creativo con gli artisti, ha scritto e curato cataloghi e mostre, in collaborazione con professionisti del settore nell’ambito dell’arte contemporanea, del connubio arte-impresa e arte-scienza.