LetteraturaPrimo Piano“Ring Out, Wild Bells”: la fine dell’anno secondo Alfred Tennyson

Lucia Cambria28 Dicembre 2020
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Alfred Tennyson, poeta laureato dell’epoca vittoriana, pubblicò nel 1850 una raccolta poetica destinata a divenire, dopo la morte del principe consorte, una vera e propria panacea per il lutto che stava vivendo la Regina Vittoria: In Memoriam A.H.H. Le lettere puntate stanno per Arthur Henry Hallam, carissimo amico del poeta morto improvvisamente, all’età di ventidue anni, a causa di un’emorragia cerebrale.

Tutte le poesie di In Memoriam A.H.H. rappresentano un esercizio spirituale e psicologico che Tennyson intraprese per superare questo terribile lutto. All’interno di questa raccolta è contenuta una poesia sulla fine dell’anno, la quale – conforme al tono dell’opera – è un inno al conforto, un balsamo cosparso sul dolore. Nella poesia, dal titolo Ring Out, Wild Bells (Sonate selvagge campane), le campane descritte sarebbero quelle di Waltham Abbey. Tennyson si trovava ad High Beach, un villaggio della foresta di Epping, a circa undici miglia dal centro di Londra. Secondo quanto si narra, il poeta avrebbe da qui udito il suono della campane dell’abbazia alla vigilia del nuovo anno.

Per tradizione, le campane delle chiese venivano suonate per salutare il vecchio anno e per accogliere quello nuovo. Ring Out, Wild Bells è un invito a trarre conforto dal dolore, al mettere da parte tutto ciò che di angosciante e triste è avvenuto durante l’anno. Le campane, col loro rimbombo, possono scacciare via l’angoscia e la tristezza:

 

Sonate selvagge campane,
Per scacciare le nubi nel cielo,
La gelida luce e l’anno che muore;
Sonate e lasciatelo andare.

Sonate e scacciate ciò che è vetusto,
Accogliete liete ciò che arriva:
L’anno che va, lasciatelo andar via;
Scacciate il falso e accogliete il giusto.

Sonate per scacciare il duolo
Per quelli che non sono più tra noi,
Per uguagliare poveri ed agiati,
Sonate in aiuto di chi è solo.

 

Queste prime tre strofe alludono chiaramente alla morte: non è morto solo l’anno, ma anche le persone («quelli che non sono più tra noi»).

 

Sonate per scacciare vecchi conflitti,
E una causa che non cessa mai;
Sonate per una vita migliore,
Con più miti maniere e più diritti.

Sonate per scacciare peccati e flagelli,
La mancanza di fede dei tempi;
Per scacciare le tristi rime,
Ed accogliere tutti i menestrelli.

 

Queste due strofe evidenziano invece il contesto sociale inglese dell’epoca, la cui società era ancora nettamente divisa in classi: è giunto il momento di portare maggiore uguaglianza. La ventata di positività giunge dalla musica suonata dai menestrelli, che si sovrappone alle «tristi rime».

 

Per scacciare il falso orgoglio e le pene,
La maldicenza e il rancore;
Per accogliere l’amore del vero,
E il comune amore del bene.

Per scacciare la follia fatale,
E l’angusta brama dell’oro;
Per scacciare le migliaia di guerre
E accogliere lunghe ere di pace.

Sonate e accogliete le gesta e con esse
Un cuore e una mano più gentili;
Scacciate via il buio della terra,
E accogliete il Cristo che dev’essere.

 

Il suono delle campane, che all’inizio era più intimo, più raccolto e più individuale, più ristretto nel tempo, verso la fine della poesia diviene universale, abbraccia il mondo intero e anche diverse ere. Il desiderio di pace appartiene a tutti gli uomini ed è peculiare di tutti i tempi.

L’ultimo verso, in particolare, indica persino i valori che devono essere presi in considerazione, ovvero quelli cristiani: vivere secondo gli insegnamenti di Cristo, il quale – e questa è una condizione necessaria – «dev’essere». In senso generale, il Cristo menzionato – al di là dei connotati religiosi – si configura come la salvezza dopo l’oblio e la scoperta di una luce nuova: una rinnovata speranza, un’epifania per tutti gli uomini.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.