ArtePrimo PianoRicostruzione ambientale dell’accampamento di Isernia La Pineta

Alice Massarenti28 Agosto 2020
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L’insediamento di Isernia la Pineta, scoperto nel 1978 nei pressi della città di Isernia (Molise), è posto a 457 metri sul livello del mare. A partire dal 1979 fu oggetto di scavi sistematici, continuati fino ai nostri giorni, portando alla costruzione del Padiglione degli scavi che oggi fa parte dell’area archeologica con annesso il Museo nazionale del Paleolitico. Nel 2014 è stato scoperto nel livello 3 colluvio un incisivo superiore sinistro da latte con radice in parte riassorbita, appartenente a,d un bambino di 5-6 anni, probabilmente Homo heidelbergensis. Le datazioni con metodi radiometrici, in particolare con 39Ar/40Ar, hanno restituito il risultato di circa 586mila anni fa. Il materiale identificato è rappresentato da decine di migliaia di frammenti ossei di grandi mammiferi associati in misura variabile a manufatti litici in selce e in minor misura in calcare.

Il ritrovamento di vertebre di pesci, rettili, tartaruga palustre e uccelli acquatici, quali il tuffetto e il germano reale, testimonia la presenza di ambienti umidi nelle immediate vicinanze dell’accampamento. Sono stati inoltre identificati piccoli mammiferi: la presenza di Sorex aff. runtonensis, Pliomys episcopalis, Microtus (Terricola) arvalidens, Microtus (Iberomis) brecciensis e Arvicola mosbachensis ha permesso di riferire questa fauna al Toringiano inferiore, nella parte centrale del Pleistocene medio. Questi insettivori e roditori inducono a ritenere che il clima fosse più arido e meno caldo di adesso e che favorisse prevalentemente un ambiente di steppa arborata. I resti di grandi mammiferi in gran parte appartengono soprattutto a bisonti, rinoceronti e cervidi e in minor misura a elefanti e ippopotami. Lo scheletro dei grandi erbivori non è presente nella sua interezza, ma prevalgono le porzioni più ricche di carne o che, fratturate opportunamente, restituiscono consistenti porzioni di midollo. Il motivo di questa selezione è dovuto all’uomo che ha trasportato nell’accampamento solo le parti più produttive. I numerosi resti di orso invece portano sulla superficie tracce riconducibili all’attività di spellamento che ne giustificano, per questo motivo, l’alta frequenza. Sono invece poco rappresentati gli altri carnivori come iena bruna, leone e leopardo che frequentavano l’area in modo occasionale. Questi episodici ritrovamenti contribuiscono a confermare che l’accumulo delle ossa è di origine antropica.

L’alta frequenza degli erbivori informa sulla presenza di una vegetazione aperta a steppa arborata, ricca di pascoli che permettevano la vita a mandrie di bisonti e ai numerosi pachidermi; un ambiente formato in un clima a due stagioni, una lunga e arida, l’altra breve in cui si concentravano le precipitazioni annuali. Nelle aree più umide, dove trovava il suo naturale habitat diurno l’ippopotamo, la vegetazione arborea si infittiva procurando rifugio a cinghiali e cervidi. Nelle aree pianeggianti o collinari aperte pascolavano bisonti, megaceri e pachidermi mentre in quelle più scoscese vivevano capre selvatiche (tar). Il rinvenimento nei livelli più recenti della bertuccia fa supporre una evoluzione del clima verso condizioni più calde e interglaciali. Questa ipotesi è confermata anche dalla presenza del castoro che è legato ad aree riparie più boschive. Si tratterebbe quindi di un ambiente più temperato e meno arido del precedente.

Le analisi palinologiche rivelano che l’ambiente era caratterizzato da un’alta frequenza di graminacee e da poche piante arboree fra le quali vi erano salici, pioppi, platani e sporadici pini, querce e cedri. Sono state riconosciute anche specie palustri quali ad esempio Typha e Plantago. La presenza e le frequenze di queste specie segnalano un ambiente caratterizzato da praterie piuttosto estese e da un corso d’acqua, lungo il quale crescevano pioppi, salici, ontani e platani e alla cui dinamica si legano acquitrini con tife e carici. In lontananza, sui rilievi, vi erano boschi di conifere e di latifoglie.

Le principali attività umane documentate sono la macellazione e soprattutto la fratturazione intenzionale delle ossa lunghe, dei crani e della mandibola. Sono state rinvenute molte migliaia di manufatti litici, in maggioranza in selce e in minor misura in calcare. L’uomo ha utilizzato frammenti di liste di medie e piccole dimensioni per lo più di cattiva qualità, interessati da piani di fratturazione naturali che condizionano la morfologia dei prodotti all’atto della scheggiatura. I materiali sono stati raccolti nelle immediate vicinanze dell’insediamento in depositi fluviali di fondo valle, ricchi di ciottoli di calcare e di frammenti di liste. La produzione di un numero elevato di schegge è riconducibile al loro impiego nella macellazione e nella riduzione di porzioni di carcasse animali. Numerose sono le testimonianze di questa attività, documentate non solo dalle incisioni presenti su molti dei segmenti ossei rinvenuti sui suoli di abitato, ma anche dallo studio al microscopio a scansione dei margini attivi e delle superfici delle schegge in selce che portano inequivocabili politure e strie dovute al taglio della carne.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.