MusicaPrimo PianoRichard Wagner e “Lohengrin”, ovvero della dipartita

Andrea Camparsi18 Gennaio 2022
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Il 17 settembre 1839 il giovane e allora quasi sconosciuto Richard Wagner giunge a Parigi con la moglie Minna dopo una rocambolesca fuga da Riga, dai debiti accumulati nella città lettone e la leggendaria procellosa navigazione, senza passaporti, a bordo della goletta Thetis. Una settimana di sosta a Londra e poi via, direzione la capitale musicale francese, che già aveva eletto tra i grandi del parnaso operistico Rossini, Donizetti, Meyerbeer più la schiera dei famosi francesi Halevy, Auber, Berlioz e prima di loro gli italiani Cherubini e Spontini. Tutto lasciava presagire, nella mente di Wagner, che il suo destino potesse essere il medesimo. Sogni di gloria che si infransero in poco tempo e che lasciarono nell’animo del tedesco segni dolorosi, permanenti e una dose considerevole di rabbia e fame di rivalsa.

Anni di fatiche, anni di delusioni, incomprensioni, polemiche, riflessioni, confronti fino al 1842, l’anno del ritorno nella materna Germania, a Dresda, dove altre sfide lo avrebbero atteso. Ma Parigi non fu solo sofferenza e frustrazione ma si dimostrò un banco di prova e di crescita senza pari dato che i germogli dei tre primi grandi drammi di successo spuntarono nella mente di Wagner proprio in quegli agitati anni. L’olandese volante, Tannhäuser e perfino Lohengrin si affacciarono nella fucina creatrice del genio wagneriano durante letture in cui il percorso di maturazione del musicista fu affascinato da leggende romantiche e medioevali della sua lontana madrepatria, prima abbandonata e ora così intensamente anelata.

«Come per un impulso volontario m’ero sempre abbandonato a ciò che intendevo “tedesco” e che con crescente calore d’intima partecipazione cercavo avidamente di conoscere ed ecco che m’imbattei nella semplice rappresentazione [della] leggenda del Tannhäuser». Così si legge nelle fitte pagine dell’Autobiografia, Mein Leben, dettata alla moglie Cosima e comprendente il periodo 1813-1864. Wagner, già vorace lettore, studia i volumi de La Storia degli Hohenstaufen di Friedrich Wilhlelm Georg von Raumer (1823) e rimane incantato dalla figura di Federico II di Svevia e del figlio Manfredi scorgendo in loro un pilastro drammaturgico della sua poetica: il rein menschlich, il puramente umano. Lo spirito tedesco, scriveva il musicista lontano dalla patria, ha in Federico II e Manfredi la peculiare disposizione tedesca di «sollevarsi oltre gli stretti limiti della nazionalità fino alla considerazione del puro elemento umano». L’arte deve essere messaggio universale ma, ironia della sorte, proprio lo spirito tedesco è designato dal tedesco Wagner a vestire i panni di messaggero di un’arte per l’umanità.

Wagner, che già aveva pronto il suo mastodontico dramma storico Rienzi, che non vedrà mai le scene parigine ma quelle tedesche della sassone Dresda, mette da parte ogni velleità di scrivere un altro grand opéra in cinque atti dedicato a Manfredi e si getta invece nel mito e nella leggenda. I fatti della storia poco hanno a che fare con la possibilità di esprimere in musica e poesia il puramente umano; il positivismo del crudo accadimento lascia spazio alla passione per le leggende medievali di un non meglio precisato «libro popolare sul Venusberg» che presenta il cantore della Wartburg Tannhäuser e di un bollettino annuale dell’Associazione tedesca di Königsberg in cui il filologo Lukas espone la tenzone dei cantori nonché l’epopea del poema Lohengrin. Altre numerose letture andranno ad aggiungersi, soprattutto quelle di Parzival di Wolfram von Eschenbach, la Schwanenrichtersage di Konrad von Würzburg, le Saghe germaniche e la Mitologia tedesca dei fratelli Grimm, oltre al poema Lohengrin. Ein altteutsches Gedicht, curato dal tardo romantico Görres. Studi che influiranno non solo sulla nascita di Tannhäuser e Lohengrin ma anche sulla ben più matura Tetralogia e sull’estrema fatica che sarà Parsifal.

Prima di riprendere in considerazione le vicende del cavaliere Lohengrin, figlio di Parsifal, Wagner attende alcuni anni, precisamente l’estate del 1845, dopo la prima di Tannhäuser, accolta con favore da pubblico e critica. Lohengrin e la sua vicenda d’amore sono l’unica opera, insieme a Parsifal, che il musicista abbia potuto comporre in un periodo di relativa calma, ovvero nei mesi estivi di vacanza (quasi un’anticipazione della famosa attività compositiva mahleriana), a seguito della dipartita dall’abituale luogo di vita operosa, dentro e fuori la sala del teatro di corte. Un lavoro stabile bramato dalla moglie Minna ma, in realtà, mal sopportato da un uomo follemente animato dal fuoco creativo qual era Richard Wagner.

Le terme boeme di Marienbad furono il luogo in cui – siamo nell’estate 1845 – nacque il testo poetico, in una sorta di esaltazione creatrice. La fuga non fu solo da Dresda ma anche dalle raccomandazioni mediche che gli prescrivevano lunghi bagni termali: incapace di starsene in ammollo nell’acqua, lo stesso musicista narra che balzava fuori dalla vasca con impazienza e vestitosi correva «come un pazzo verso casa a buttar giù sulla carta ciò che mi incalzava». Wagner, preso da una voglia irrefrenabile di stendere i versi della nuova opera, poté continuare il lavoro solo l’estate successiva, quella del 1846, nella campagna a sud-est di Dresda, nel villaggio di Graupa, nelle prossimità della regione montana che viene chiamata Svizzera sassone. I conti erano già dissestati ma le idee che germogliavano nella mente del Kapellmeister erano talmente rigogliose che Wagner imbastì, nel breve periodo di lontananza dalla città, il primo abbozzo dell’intera opera in tre atti.

Sia a Marienbad sia a Graupa, Wagner creò lasciando che la sua mente dipartisse dalle consuetudini quotidiane dell’organizzata scansione di attività teatrali o al servizio della corte sassone. Passeggiate, bagni termali, camminate silvestri lungo i ruscelli della Boemia o escursioni sui monti della suggestiva Svizzera sassone, ambientazione famosa per l’ultraromantico Wanderer di Caspar David Friedrich. Che la ‘viandanza’ fosse fisica o mentale poco importa: Wagner scrisse Lohengrin nei momenti in cui poté dipartire, divagare dal fragore delle preoccupazioni che lo attanagliavano fin dai primi anni di attività musicale, anzi fin dai suoi primi anni di vita, tra Lipsia e Dresda. I nervi affaticati presero requie dal lavoro di routine del teatro di corte anche nei mesi a venire quando Lohengrin andava completandosi in tutti i suoi dettagli. Ma questa volta il lavoro continuò nelle stanze della sua dimora cittadina di Palazzo Brühl-Marcolini, nell’austero silenzio dello studio privato, nonostante la moglie Minna mal sopportasse l’insana febbre del marito per la composizione di quelle “strane” opere che lo distoglievano dal redditizio lavoro statale.

Tornando ora alle vicende drammaturgiche del dramma, il finale di Lohengrin è contraddistinto dalla dipartita del cavaliere del Graal, costretto a lasciare il Brabante, dopo aver rivelato la sua identità con i famosi versi del monologo In fernem Land, le terre lontane, che evocano indefinite lontananze al di là della storia e dell’umana comprensione, là dove il puro folle Parsifal è re dei custodi della sacra reliquia. Tutta la vicenda è segnata dalle domande precluse alla giovane Elsa che, caduta nel dilemma del dubbio instillatole dalla malvagia Ortrud, chiede al suo eroe identità e provenienza nonostante il severo divieto fattole al termine del primo atto, non appena Lohengrin scende dalla navicella. Lohengrin dunque si rivela pubblicamente, restituisce a Elsa il fratello Goffredo, presunto morto ma in realtà mutato in cigno da Ortrud, e parte per sempre.

Si esca ora nuovamente dalla scena e ci si immerga ancora una volta nelle vicende biografiche di Wagner. Si noteranno una serie di singolari analogie tra la sorte del cavaliere del cigno e la vita del musicista. Dipartite e rocambolesche fughe sono i due elementi che accompagnano Wagner dagli esordi di Magdeburgo e Königsberg, dal biennio di Riga, fino alla travagliata parentesi parigina e alla fuga da Dresda per trovare sicuro esilio a Zurigo. Fughe e dipartite che seguiteranno almeno fino all’approdo a Bayreuth nell’ancora lontano 1872.

Il periodo compositivo di Lohengrin, lontano dalla città e dalle sue quotidiane e routinarie occupazioni, sarà la vigilia della fuga, la classica quiete prima della tempesta. Lohengrin se ne andrà una volta svelatosi, Wagner invece non appena le autorità militari lo identificheranno come uno dei più accesi sobillatori dei moti del maggio 1849. Il Musikdrama, che si sublima con la dipartita del protagonista, prende forma nella mente di un uomo sempre “sul punto di partire”, decentrato rispetto al ritmo consueto o addirittura impaziente di rispettare attività programmate come banali bagni termali. E la stessa messa in scena dell’opera a Weimar, a cura dell’amico Liszt, il 28 agosto 1850, avverrà lontana da Wagner, anzi, decentrata e distaccata questa volta dallo stesso suo autore.

Lohengrin se ne va accompagnato dalla colomba, simbolo di pace ma anche di volontà divina, per fare ritorno nel regno del padre, sulla sacra altura del Monsalvato. Wagner se ne va in Svizzera prima di affrontare un turbinio di eventi, fuggiasco come in Valchiria lo saranno i gemelli amanti Siegmund e Sieglinde seguiti da Hunding e il branco dei suoi famelici cani, finché la destinazione rivelata sarà la verde collina di Bayreuth sui cui sorgerà il teatro dei Festival. Dipartite, fughe, decentramenti: vita e arte in un intreccio forse casuale ma di certo rivelativo di una vicenda creativa che si fermerà solo quando la bianca colomba sosterà, eternamente, sul capo di Parsifal, il redentore del redentore, simbolo metastorico di lucente presenza.

Andrea Camparsi

Dottore di ricerca in filosofia. Studioso di estetica e di filosofia della musica, con particolare attenzione al tardo romanticismo. Ha svolto attività di ricerca presso l’Istituto Italiano di Studi Germanici. Attualmente è Direttore artistico dell’associazione "La Voce Wagneriana", volta a favorire la conoscenza e la divulgazione delle fonti storiche e letterarie riguardanti il compositore tedesco Richard Wagner, di cui ha approfondito - attraverso numerose pubblicazioni - gli influssi culturali e ideologici sulla Germania e l’Europa.