Il Museo Tattile Statale Omero della città di Ancona accoglie nella propria collezione, dal 27 dicembre, l’opera Quello che doveva accadere e un intervento personale a più voci di Giovanni Gaggia, a cura di Stefano Verri: un’operazione performativa che unisce, nella reminiscenza, nel dolore e negli interrogativi mai chiariti della strage di Ustica, fili di memoria nel lavoro del ricamo e atti riflessivi da parte di 36 voci del panorama artistico-culturale sul tema del tempo, nonché sulla relazione tra arte e memoria.

Giovanni Gaggia sutura, ricompone e rimargina tracce indelebili di un dolore che permane invariato e, nel tempo fragile e muto, aumenta la sua eco, di cui rimangono brani, materiali, archivi di ricordi e documenti ancora offuscati dalla nebbia di una “guerra non dichiarata” che ha coinvolto il DC-9 Itavia, gli 81 passeggeri a bordo e i loro familiari, il 27 giugno del 1980.
L’arazzo, realizzato dall’artista nel quarantesimo anniversario della strage, riporta in Braille «Quello che doveva accadere»: la frase di Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, è stata pronunciata durante il primo incontro con l’artista, avvenuto a Bologna davanti all’installazione permanente di Christian Boltanski al Museo per la Memoria di Ustica.

Ancona, città d’origine della famiglia Davanzali, fondatrice e presidente della compagnia aerea Itavia, si stringe di nuovo intorno alle famiglie delle vittime dopo la performance Quello che doveva accadere/INVENTATIUM, realizzata nel 2017 da Giovanni Gaggia sotto l’Arco di Traiano, nel segno della ritualità antica e intima del ricamo.
La nuova opera si collega al lavoro nel Porto Antico di Ancona, chiudendo un ciclo che ha impegnato l’artista per dieci anni in un percorso intenso, denso, vivo e doloroso. Il filo si annoda in simboli, si intreccia in preghiere, in atti meditativi, in commozioni e pensieri rivolti a ogni vita, alla memoria di ciò che è stato, alla tensione verso il conforto, portati tutti in ogni fibra ricamata, nella tessitura dell’arazzo che li contiene.

L’opera si compone di percezioni tattili e uditive, intessendo la storia, le testimonianze, che vivono e si tramandano nelle riflessioni, nei racconti, nelle domande, nei percorsi emotivi, che l’artista accoglie in sé cucendole in movenze lievi, nel tentativo di rendere l’arte custode della memoria di questa tragedia.

Milena Becci, Daria Bonfietti, Cristiana Colli, Mario Cosiglio, Luisa Davanzali, Tommaso Evangelista, Donatella Ferrario, Pietro Gagliano, Laura Garbarino, Azzurra Immediato, Juan Pablo Macias, Desirée Maida, Massimo Mattioli, Paola Nicita, Maria Letizia Paiato, Emilia Pignatelli, Filippo Riniolo, Maria Savarese, Simona Spinella, Alice Zannoni e nonna Zita, Patrizia Zelano hanno risposto all’invito dell’artista, riflettendo su oblio, consapevolezza, necessità e sopravvivenza che l’arte rispettivamente sconfessa, combatte, rischiara, infonde, rafforza, nutre e riconquista nel suo duraturo perdurare.
Nel corso di un’azione, programmata a conclusione dell’esposizione, l’opera sarà chiusa in un tubo di metallo con una scritta Braille e rimarrà permanentemente al Museo Omero.

Nicoletta Provenzano
Nata a Roma, storica dell’arte e curatrice. Affascinata dalle ricerche multidisciplinari e dal dialogo creativo con gli artisti, ha scritto e curato cataloghi e mostre, in collaborazione con professionisti del settore nell’ambito dell’arte contemporanea, del connubio arte-impresa e arte-scienza.