ArtePrimo PianoQuando i rifiuti hanno un valore: il monte dei cocci, peculiare area protetta di Roma

Valentina Bortolotti24 Aprile 2019
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Percorrendo via Nicola Zabaglia, al civico 24, si incontra l’area protetta del monte dei cocci. Questa collina, 50 metri sopra il livello del mare (e 30 metri più alta rispetto all’area circostante), rappresenta la prima discarica di Roma. Contrariamente a quanto si possa pensare, infatti, il monte non ha un’origine naturale, bensì è composto da ben 53 milioni di frammenti di anfore. A questo punto è doveroso fare un piccolo passo indietro e precisare che l’area della pianura dell’Aventino, a seguito dell’incremento demografico ed economico dopo la seconda guerra punica (III A.C.), divenne un’area fortemente commerciale poiché, lungo l’ansa del Tevere, fu costruito il nuovo porto a partire dal 193 A.C.

L’area venne dotata di numerosi magazzini annoniani, cioè destinati a contenere le derrate alimentari. A quei tempi il trasporto dei generi alimentari era affidato alle anfore, oggetti piuttosto capienti realizzati in argilla, un materiale decisamente isolante. Capitava non di rado che queste si rompessero o che, nel caso delle anfore utilizzate per l’olio e svuotate, venissero appositamente distrutte perché non riutilizzabili.

I cocci delle anfore venivano gettate con criterio proprio nell’area in cui, in secoli di sedimentazione, si è formato il monte omonimo. In latino il termine cocci era testae, motivo per cui il quartiere si chiama Testaccio.

Dagli studi che sono stati fatti nell’area si è scoperto che ciclicamente veniva gettata la calce per evitare che i residui organici potessero emanare cattivo odore. Inoltre, ogni anfora aveva sulla sua superficie numerose indicazioni, una sorta di etichette alimentari moderne. A calamo o a pennello, vi è riportata la data consolare, il nome dell’esploratore, la provenienza (che solitamente era Andalusia o Africa) e i controlli fatti prima della partenza e dopo l’arrivo. Trattandosi di una discarica, non stupisce che questo luogo venga menzionato per la prima volta solamente nel VII sec. in un’iscrizione conservata presso la basilica di Santa Maria in Cosmedin.

Il monte dei cocci, che rappresenta il compendio della storia economica della Roma repubblicana e imperiale, per diverso tempo è stato inabitato ma, grazie alla proprietà isolante dell’argilla con cui sono fatte le anfore, ben presto i romani scavarono ai fianchi della collina dei grottini. Tali ambienti, in cui era garantita una temperatura fissa di 10 gradi, in epoca medievale venivano utilizzati come cantine o stalle, più tardi come ristoranti e osterie.

Nel Medioevo la collina era teatro dei giochi carnevaleschi come le tauromachie (combattimenti tra bovini, contro umani o contro altri animali) note già dall’antichità, e la “ruzzica de li porci”. Quest’ultima consisteva nel gettare dal monte un carretto pieno di suini alcuni dei quali morivano sul colpo, altri più sfortunati, invece, sopravvivevano e il popolo gli dava la caccia.

Dal XV sec. le celebrazioni del carnevale romano furono spostate in via Lata (attuale via del Corso), dove si organizzava la corsa dei Barberi, la corsa dei cavalli che partiva da piazza del Popolo e terminava in piazza Venezia. Viaggiatori di tutta Europa accorrevano per assistere alla famosa gara, bandita nel 1874 per volere di Vittorio Emanuele II, a seguito della morte di un ragazzo.

Tornando al monte dei cocci invece, dal XV sec. divenne punto di arrivo, come se fosse il Golgota, della via crucis che partiva dalla casa dei Crescenzi. Fu teatro anche delle ottobrate romane, festività popolari in cui venivano organizzate delle sfilate di carri allestiti dalle mozzatore, le donne incaricate di raccogliere l’uva nel periodo della vendemmia. In quelle occasioni le osterie erano frequentatissime, risuonavano stornelli romani e il vino dei castelli scorreva a volontà.

Nel 1742 venne emanata una legge di tutela del monte poiché l’abitudine di raccogliere i resti delle anfore aveva minato l’abitabilità delle osterie. Nel 1873, invece, vennero eseguiti sulle anfore i primi studi organici a cura dell’archeologo Heinrich Dressel, il quale eseguì anche una catalogazione delle stesse e creò una tabella di suddivisione per tipologia. Questa tabella è tutt’ora usata dagli archeologi. Il monte dei cocci ha vissuto diverse vite, durante il Medioevo addirittura si era dimenticato il motivo della sua formazione tanto da creare numerose teorie. C’era infatti addirittura chi pensava fosse composto con i detriti dell’incendio di Roma del 64. È sempre consigliabile una passeggiata guidata, oltre a essere un luogo ricco di storia offre una panoramica su Roma di tutto rispetto.

Valentina Bortolotti

Nata a Roma, è laureata in Storia dell’arte e attualmente sta studiando per ottenere il patentino da accompagnatrice turistica. Fotografa autodidatta, guida turistica in erba, ama trascorrere il tempo nei musei in solitaria.