LetteraturaPrimo PianoPost-illa: quello che non sapete su Luigi Pirandello

Giorgia Pellorca10 Maggio 2019
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Alcuni scrittori vengono continuamente ristampati e letti, citati e studiati “ad infinitum”. Per fare un esempio pratico, Luigi Pirandello: oggi, nell’era dei social, lo ritroviamo addirittura nella condivisione di aforismi e di estratti che confluiscono in didascalie corredate da selfie e quant’altro. Altri scrittori invece cadono nell’oblio pur avendo segnato il panorama storico-letterario. Due di loro, Massimo Bontempelli e Paola Masino, sebbene non annoverati tra gli autori italiani più conosciuti, possono considerarsi a pieno diritto protagonisti indiscussi del Novecento: scrittori “sui generis”, intellettuali acuti, hanno fatto molto discutere di loro per diversi motivi (primo tra tutti la loro relazione: Bontempelli era sposato e separato quando intrecciò la sua vita a quella di Paola Masino, più giovane di lui di circa trent’anni e dunque coetanea del figlio). Bontempelli è stato il promotore del realismo magico italiano (e, in generale, un appassionato sostenitore culturale); Paola Masino una delle penne più affascinanti e allegoriche del secolo. Entrambi avevano conquistato un posto d’onore nel cuore di Luigi Pirandello, non solo come scrittori ma soprattutto come amici. Confidenze, consigli lavorativi, itinerari vacanzieri e lunghe nottate erano rituali irrinunciabili per questo trio.

Quando nel 1936 il Maestro venne a mancare, Stefano Pirandello e Massimo Bontempelli si scoprirono entrambi orfani. A fare i conti con i sensi di colpa fu invece Paola Masino, che aveva conosciuto Pirandello prima ancora di Bontempelli: giovinetta, con le trecce che le cadevano sul petto, gli aveva presentato un dramma scritto da lei – Le tre Marie – e invasa dall’emozione per aver parlato del proprio lavoro col Maestro, annotò su uno dei suoi diari dopo l’incontro: «Ho visto la gioia». Una gioia spentasi con la scomparsa del caro amico che Paola sente di aver trascurato negli ultimi tempi. Tanto è il dolore per questo avvenimento e tanto la sua vita – e quella di Massimo – imbevuta di reale e quotidiana magia che Pirandello le compare in uno strano sogno, anche questo annotato da lei in un diario; leggendolo pare veramente tendere verso quelle atmosfere vaghe e paradossali tipicamente realistico-magiche. Il sogno comincia nella casa di Corso Trieste, dimora degli anni Trenta. Paola è sul balcone a osservare un gallo color smeraldo intento a beccare un grappolo d’uva pendente dal cielo; sopraggiunge Massimo a richiamarla affinché possano dirigersi assieme a teatro. La presenza di Bontempelli sembra eclissarsi durante il viaggio, ma ciò non desta preoccupazione nella donna. Arrivata a teatro prende posto e guardandosi intorno viene invasa dalla stupore: «Mi parve che il cuore mi sprofondasse nel petto e insieme che tutta io fossi levata altissima in gran impeto di gioia. Di là da quel pianerottolo mi ammiccava, sorridendo, roseo di felicità, Luigi Pirandello».

Subito la donna si lascia pervadere dall’emozione di aver rivisto l’amico al quale dà rispettosamente del lei; vorrebbe chiamare Massimo e dirgli che «avevano ragione», che Pirandello non poteva essere morto, ma la voglia di abbracciarlo è più forte di qualsiasi verità e così Paola si getta tra le braccia del Maestro che le dice: «Ma te lo ricordi che son morto? Non ti faccio paura?» e subito le mostra la giacca a quadri che la donna aveva rammendato per lui a Buenos Aires, servendosi della grazia incantata dei ricordi come strumento riconoscitivo «per non spaventarti mi son messo questo vestito». Alla richiesta di Paola di chiamare Bontempelli, Pirandello risponde: «Voglio parlare con te» e così dal teatro si spostano per il sentiero che conduce a un bosco di allori. Il sogno si apre verso quelle zone di surreale magia, tanto care alla coppia Bontempelli-Masino: «Non ricordo né che camminassimo né che stessimo fermi: ho la sensazione di un movimento nostro continuo, in avanti». Prende la parola Pirandello: «Tu l’hai sempre detto che io non sono morto. Ed è vero. Muore chi vuole morire, ma io non volevo, non ho mai voluto morire. Ho ancora tante cose da dire, e voglio dirle io, con il mio nome e cognome. Non credo alle storie delle eredità spirituali. Il mio pensiero, io solo lo conosco, io solo posso foggiarlo nella sua incandescenza, a mio piacimento».

Intorno a loro risuona e fruscia un lieve brusio indecifrabile, incomprensibile; sono i morti che cercano di parlare coi vivi, spiega Pirandello alla giovane. Ma è una comunicazione impossibile. Lui è lì intrappolato da un anno e non riesce a comprendere quelle voci e i loro messaggi dunque non può che essere vivo; rivolgendosi poi a Masino: «Cosa vuoi che abbia da dire a dei morti? Con i vivi devo parlare. Ho ancora tante cose da dire. E allora tu vieni qui, con me. Io dico a te le cose che poi tu riporterai agli altri, di là». A queste parole la donna è percossa da un inquieto terrore; non sa bene che parole rivolgere all’amico senza ferire la sua sensibilità. Titubando prova a dirgli che se morisse diverrebbe anche lei un brusio incomprensibile e il suo aiuto risulterebbe nullo, ma Pirandello non vuole affatto che lei muoia: vuole che trovi un modo per arrivare da lui esattamente come è riuscita in occasione di quell’incontro e che se è vero che gli vuol bene sarà l’amore a indicarle la strada

La visita volge quasi al termine. Pirandello poggia le spalle contro un muro assumendo la posizione del Cristo in croce; sembra spuntargli un terzo occhio o qualcosa di molto simile e dal basso verso l’alto il suo corpo comincia a dissolversi: il volto si fa serio all’improvviso per rivolgere a Paola le ultime parole: «Non raccontare mai a nessuno di avermi veduto e quel che ti ho detto. Perché tutti, e anche tu stessa, crederebbero che sia stato un sogno. Ma non è un sogno. Tu ed io lo sappiamo. Ma se parlerai sarà come se fosse stato un sogno. Non tradirmi perché non mi vedresti mai più».

Detto ciò il Maestro svanisce. Nella pagina di diario dove Masino annota questo incredibile colloquio, racconta anche di essersi confidata con Bontempelli e Stefano Pirandello del sogno, infrangendo così la richiesta dell’amico. Il figlio di Pirandello rivela a Paola di non essere riuscito a sognare suo padre se non sotto forma di incubo. Questa preziosa e ambigua memoria custodita nel quaderno VII del diario degli anni Sessanta, si chiude con la confessione di Paola di aver condiviso con gioia l’esperienza onirica in quanto portatrice di «tanta ricchezza» e proiezione di «un’[ultima] avventura straordinaria», ma di non aver mai neanche tentato di trovare una misteriosa via per addentrarsi nell’arcano bosco di allori e comunicare ancora con lo scomparso Pirandello: «E allora, la notte del 10 dicembre 1938, nel secondo anniversario della sua morte, tornò lui da me. Solo il suo volto, come nell’ultimo istante della prima apparizione, ma grandissimo e campato su un fondo d’aria compatta grigiastra, con la piccola tesa del cappello che gli ombreggiava gli occhi tristi. Disse: “Non sei venuta, e hai raccontato quel che ti avevo detto. Non mi vedrai mai più”. Si dissolse. E, da allora, non l’ho mai più sognato».

Tutta la vita di Paola Masino e Massimo Bontempelli ha la sostanza dell’incanto: per loro il realismo magico non fu una scuola, una corrente o uno stile, piuttosto un sentimento tramite il quale si immergevano nella vita di ogni giorno e riuscivano a oltrepassare la soglia della realtà tangibile, un veicolo di connessione tra l’aldilà e l’aldiquà. Quale fosse il vero intento di Pirandello –   nell’inconscio masiniano – non ci è dato saperlo; certamente il Maestro ha lasciato le carte troppo presto, certamente poteva essere ancora più grande l’armamentario pirandelliano, certamente sarebbe opportuno leggere i suoi carteggi e indagare la stima e il rapporto fraterno che lo univa a Bontempelli e Masino, scrittori brutalmente esclusi dall’Olimpo letterario italiano. Scrittori dai quali Pirandello prendeva spunto per i suoi lavori. Sarebbe opportuno farlo anziché ostinarsi nella ricerca spasmodica di citazioni d’autore da condividere: di ogni artista, persona o personaggio fondamentale è soprattutto l’umanità, il carattere. E nessuno meglio di Pirandello ne era consapevole.

Giorgia Pellorca

Vive nell'agro pontino e quando può si rifugia in collina, a Cori, tra scorci mozzafiato, buon vino e resti storici. Ha studiato Lettere moderne per poi specializzarsi in Filologia. Curiosità ed empatia si fondono nell'esercizio dell'insegnamento. Organizza eventi quali reading e presentazioni di libri.