LetteraturaPrimo PianoPost-illa: “Gente nel tempo” di Massimo Bontempelli

Giorgia Pellorca25 Ottobre 2020
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Ci sono scrittori importanti in assoluto e scrittori importanti nella storia personale di un singolo individuo. Così Bontempelli figura ai miei occhi, lui che indubbiamente è stato un protagonista “tout court” del Novecento: d’impianto classicista, si avvicina al futurismo (tendenza vista come un fuoco demolitore e purificatore dal quale far nascere nuove forme d’arte), rifiuta in blocco la propria produzione – quella antecedente alla prima guerra mondiale – e riparte da La vita operosa, uno dei ritratti più originali e intensi della città di Milano, autentica protagonista dell’opera. Lo spirito della fenice che risorge da queste ceneri s’incarna nel realismo magico, necessario e unico porto dove trovare salvezza: nel tempestoso e caotico oceano post-bellico, Bontempelli riesce a fondare una nuova letteratura. Avvicinandosi allo straordinario operato bontempelliano, una domanda sorge spontanea: «Come è stato possibile mettere da parte un così indispensabile scrittore?». Domanda a cui fortunatamente risponde una neonata casa editrice milanese, chiamata – forse non a caso – Utopia, che ha deciso di paracadutarsi sullo scenario letterario servendosi dei magici strumenti bontempelliani, decidendo di ripubblicare l’autore. In un anno particolare come questo, un salto nel vuoto del genere risulta ancora più coraggioso e lodevole.

Ma torniamo a Bontempelli e partiamo dal titolo: Gente nel tempo. Cos’è la gente? Cosa, più nello specifico, l’essere umano? In qualche maniera la personificazione del tempo: il tempo si rende visibile tramite l’uomo. Chi è dunque il protagonista del romanzo, la gente o il tempo? Questo il primo grande interrogativo da porsi. Possiamo azzardare come risposta la vita, scintilla divina che hanno in comune la gente e il tempo. La vita e la morte, vista non come antitesi ma come parte integrante e ineludibile di essa. Sebbene la morte sia il filo sottile che unisce tra loro i personaggi – travolti da una maledizione che ne vede morire uno ogni cinque anni – troviamo in alcuni passaggi del romanzo elogi alla vita di una bellezza commovente:

 

Vero è che in tutte le cose del mondo, e le umani e le naturali, non vi sono coincidenze irragionate; ogni moto, ogni evento, ogni caso anche minimo che accade verso il cielo o sopra la Terra, e il volare d’un insetto o il germinare d’un’erba non meno che una guerra o lo scoppiare della passione nel cuore dell’uomo, tutti sono tra loro connessi come i congegni d’un ordigno impregnato di umana intelligenza.

 

Bontempelli mette in scena la storia di una famiglia che è già spacciata senza alcuna maledizione. Se ne rende ben presto conto il (ritrovato) capostipite, Silvano: «Io non posso aver paura della morte, perché non c’è in me niente di vivo». Allora, forse, la vera morte è rimanere in attesa del proprio destino, sospesi: allora non è il tempo a passare, ma noi. L’autore si serve dell’ironia, fa capolino tra una riga e l’altra quasi per mantenere attento il lettore e per mostrargli la passività umana nel tentativo di allontanarla. La vita viene celebrata nel frusciare delle foglie, nelle libellule vitree, nelle farfalle, nel «rombo dorato dei calabroni, ronzio di mosche affamate, crepitii di cortecce, scoppiare di gemme, brulicare di larve alle giunture dei rami: un prodigioso idioma che avviluppava di favole vive quel pezzo del mondo».

Lo splendore della rigogliosa natura è in netta contrapposizione all’interiorità un poco arida, inamovibile, quasi ignava dei personaggi; ma due piccoli germogli – speranza per il futuro – sembrano una promessa di redenzione: sono Dirce e Nora, le piccole di casa che giocano in quel «pezzo di mondo favoloso» che è il loro giardino. Divenute adulte purtroppo non sapranno conservare – per poi sviluppare – la provvida dote della creatività e cercheranno miseramente di eludere i colpi della (s)fortuna senza riuscirci. Eppure Bontempelli, che non è solo uno scrittore ma soprattutto un umanista, la inserisce eccome un’espiazione che va ad annidarsi nel cuore di un personaggio secondario (ma non minore): Petronio, il cocchiere. Senza decodificare ulteriormente il testo – pieno di suggestioni, di spunti, di rimandi – e negare così ai lettori il piacere della scoperta, citiamo una frase oracolare ed essenziale posta quasi in chiusura: «La vita è dubitare». E l’autore di Gente nel tempo ci mette nella condizione di dubitare continuamente, pagina dopo pagina.

 

Quel che importa, che mi sconvolge, non sono i fatti, tutti li sanno; sono i rapporti, le concorrenze, la interpretazione; è qui.

 

Una storia che appare lineare e non lo è affatto, come la vita. Bontempelli ama la vita e la esalta anche attraverso la morte. Un ritrovamento fecondo arrivato in un momento opportuno: dovremmo farci tutti Enea e recuperare il passato per salvare il futuro. Perciò non perdete l’occasione magnifica di leggere le pagine bontempelliane.

Giorgia Pellorca

Vive nell'agro pontino e quando può si rifugia in collina, a Cori, tra scorci mozzafiato, buon vino e resti storici. Ha studiato Lettere moderne per poi specializzarsi in Filologia. Curiosità ed empatia si fondono nell'esercizio dell'insegnamento. Organizza eventi quali reading e presentazioni di libri.