Il sonetto In morte del fratello Giovanni è dedicato al fratello di Ugo Foscolo, morto suicida nel 1801; del testo esiste una copia autografa. Non è solo un’occasione biografica dolorosa a motivare la composizione della lirica: il poeta si serve dell’elemento biografico come strumento per la lavorazione letteraria, pronta a modellarsi sulle opere dei poeti classici del passato. Ecco che la perdita di un fratello non sarà solo una tragica vicenda familiare, ma un motivo capace di produrre e poi elargire una poesia universale: il dolore diventa così una straordinaria esperienza conoscitiva, in grado di individuare e sentire le dimensioni più profonde e comuni, sottese a ogni esistenza umana e in grado di creare dunque dei legami, delle connessioni tra gli uomini; e questo è in fondo il valore della grande poesia di tutti i tempi.
Nel sonetto vi è un richiamo evidente al Carme CI (101) del Liber di Catullo, celebre componimento redatto per la morte del fratello, la cui tomba il poeta latino ebbe probabilmente occasione di visitare durante il suo viaggio in Bitinia, in Asia Minore, nel 57 a. C. Mettiamoli a confronto.
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, mi vedrai seduto
du la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto:
la madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,
sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta;
e prego anch’io nel tuo porto quiete:
questo di tanta speme oggi mi resta!
straniere genti, l’ossa mie rendete
allora al petto della madre mesta.
In morte del Fratello Giovanni, Ugo Foscolo
Dopo aver attraversato terre e mari
eccomi, con queste povere offerte agli dèi sotterranei,
estremo dono di morte per te, fratello,
a dire vane parole alle tue ceneri mute:
perché te, proprio te, la sorte mi ha portato via,
infelice fratello, strappato a me così crudelmente.
Ma ora, così come sono, accetta queste offerte
bagnate di molto pianto fraterno:
le porto seguendo l’antica usanza degli avi,
come dolente dono agli déi sotterranei.
E ti saluto per sempre, fratello, addio!
Carme CI (101), Catullo
Degli stessi motivi, abbiamo anche una riscrittura novecentesca. Il poeta contemporaneo Giorgio Caproni (1912-1990), nella raccolta Il franco cacciatore (1982), propone in chiave diversa la stessa tematica catulliana: come a suo tempo aveva fatto Foscolo, Caproni dedica la poesia al proprio fratello: «Sono versi dedicati a mio fratello Pier Francesco, morto il 12 febbraio 1978 e sepolto in una gelida mattina di neve al cimitero a San Siro, a Genova-Struppa». In una lettera del 1986 a un amico scriverà che il componimento «è quasi traduzione del celebre carme di Catullo, ripreso anche da Foscolo». Riportiamo di seguito il testo della poesia, redatta probabilmente nel 1978 e pubblicata per la prima volta su Il Tempo il 21 marzo 1980.
Quanto inverno, quanta
neve ho attraversato, Piero,
per venirti a trovare.
Cosa mi ha accolto? Il gelo
della tua morte,
e tutta
tutta quella neve bianca
di febbraio – il nero
della tua fossa.
Ho anch’io
detto le mie preghiere
di rito.
Ma solo,
Piero, per dirti addio
e addio per sempre, io
che in te avevo il solo e vero
amico, fratello mio.
Atque in perpetuum, frater…, Giorgio Caproni

Giorgia Pellorca
Vive nell'agro pontino e quando può si rifugia in collina, a Cori, tra scorci mozzafiato, buon vino e resti storici. Ha studiato Lettere moderne per poi specializzarsi in Filologia. Curiosità ed empatia si fondono nell'esercizio dell'insegnamento. Organizza eventi quali reading e presentazioni di libri.