La storia del successo della Pixar inizia nel 1979 con Ed Catmull, uno dei fondatori, che riceve l’incarico da George Lucas di occuparsi della divisione informatica della Lucasfilm. Viene chiamato a occuparsi di curare l’animazione John Lesseter che fino ad allora aveva lavorato con la Disney, il quale – nel girare The Adventures of André & Wally B. (1984) – si scontra con la difficoltà di poter utilizzare soltanto forme cilindriche o sferiche. Tuttavia i tecnici Pixar riescono a risolvere il problema introducendo un’importante innovazione nel lavoro a CGI (computer grafica): le forme a goccia e più avanti lo “squash and stretch”, aggiunte che permettono di lavorare meglio sui personaggi da animare. The Adventures of Andrè & Wally B. è considerato il primo cortometraggio realizzato in computer grafica e il punto di partenza dei lungometraggi Pixar. John Lesseter, nel giro di qualche anno, passa dalla realizzazione di un paio di personaggi alla gestione di un cast di animatori per la realizzazione dei film.
Nel 1988 arriva il primo Oscar con Tin Toy, primo corto in cui viene inserita una figura umana; poco prima Steve Jobs aveva acquistato la casa di produzione facendo nascere i Pixar Animations Studios. Con l’apertura della stagione dei lungometraggi per la Pixar inizia un susseguirsi di successi e incassi stellari, oltre che l’assegnazione di importanti riconoscimenti cinematografici quali Golden Globe e Oscar. Toy Story, Shreck, Gli Incredibili e Buzz Lightyear sono solo alcuni dei numerosi capolavori Pixar entrati a tutti gli effetti nei cuori degli spettatori. Ma come nascono queste meraviglie?
Il processo di realizzazione ha come punto di partenza la redazione del copione, che è il momento in cui le idee del regista vengono trascritte sulla carta o su supporti informatici. Le idee riportate tracciano sia il percorso emotivo di ciascuno dei personaggi, sia i dialoghi tra loro. Come in ogni messa in scena possibile, la redazione del cosiddetto “script” è carta straccia senza la sua realizzazione. Quest’ultima, nei film di animazione Pixar, avviene attraverso più e più schizzi – combinazione dei plastici o dei modelli informatici – in modo tale da rendere la rappresentazione sia più aderente possibile alla fantasia dell’ideatore, sia più efficace nei confronti dello spettatore. Qui gioca un ruolo fondamentale lo sviluppo della tecnologia, che ha dato un importante contributo nella transizione dalla carta allo schermo.
Lo “storyboard” è un passaggio importante per dare un’idea di massima di come sarà il film e illustra passo dopo passo come verranno messe in fila le scene. Non solo. In questa fase vengono inseriti gli effetti sonori e si rivolge una particolare attenzione alla cromatura dei personaggi. Partendo dalle musiche, queste vengono composte o scelte da un lato tenendo conto del messaggio complessivo che il film vuole inviare e dall’altro in base al momento a cui devono fare da sottofondo. La combinazione tra colore e musica svolge un ruolo cardine per la resa emotiva dei protagonisti, basti pensare a Inside Out in cui Tristezza è blu o Rabbia è rosso e non appena quest’ultimo viene tirato in ballo non tarda ad accendersi con delle fiamme che gli partono dal capo. La rappresentazione del personaggio stesso dà la misura di quello che effettivamente accade quando si è arrabbiati: ragionamenti corti ed esclamazioni spesso molto accese e accompagnate dalla cecità dettata dalla perdita di controllo, il tutto è possibile grazie all’ attenzione ai colori e al design del personaggio.
I personaggi dei film sono frutto di un importante lavoro collettivo: nella fase di “set design”, gli animatori realizzano plastici e modelli in argilla per poter poi vedere come le singole parti di essi possono combinarsi fra loro. In questa fase vengono dettati i punti di flessione e di rigidità nei movimenti dei protagonisti che saranno affiancati da una collocazione di luci e ombre, atte a valorizzarli al meglio. L’illuminazione, proprio come nei quadri, serve a indirizzare l’attenzione dello spettatore su una scena, su un movimento piuttosto che su un altro e ha anche lo scopo di enfatizzare un’emozione piuttosto che un’altra: assolve perciò plurime funzioni di fondamentale importanza per una più densa comunicazione tra il regista e lo spettatore. È interessante ricordare che nel lavoro sulla superficie, quando ad esempio si tratta di rappresentare la pelliccia di un animale, vengono prese in considerazione equazioni matematiche che consentono di poter calcolare come il personaggio reagisce muovendosi in quel determinato ambiente realizzato per quella determinata scena. Il tutto rientra nella fase di “set design” che, come anticipato, serve proprio a studiare e realizzare l’ambiente nel quale i personaggi vengono inseriti, al fine di renderlo più familiare possibile per gli spettatori. Si tratta di un’analisi della contemporaneità, che guarda alle abitudini delle persone, all’architettura di interni ed esterni, elementi che porteranno lo spettatore a dimenticarsi dell’artifizio del lavoro e a non considerare animazione cioè che sta in realtà vedendo, facendolo sentire specchiato in ciò che vede e non solo divertito o emozionato.
L’ultima fase del processo di realizzazione è rappresentata dal “rendering”, di cui spesso si sente parlare anche in architettura: attraverso i “render farm”, computer particolarmente potenti, è possibile comprimere tutte quelle informazioni complesse e tridimensionali in immagini bidimensionali più facilmente trasferibili su pellicola oppure più facilmente riproducibili con il proiettore digitale.
La crescita della Pixar interessa non solo le tecniche di struttura dei film ma anche l’arricchimento dei dettagli degli ambienti in cui sono inseriti i personaggi. La ricerca della perfezione proviene dal collocamento della credibilità come principio fondante del “modus operandi” della Pixar. Infatti prima dell’elaborazione e produzione del film di animazione c’è una profonda ricerca di contenuti e di senso negli elementi appartenenti al mondo reale che verranno poi trasposti sul proiettore. Per Alla ricerca di Nemo, la Pixar si è servita di un team di biologi che hanno affiancato i realizzatori del film nello studio del mondo sottomarino: da qui è nato il personaggio di Dori, il cui marchio di fabbrica è l’essere smemorata e molto sbadata, due caratteristiche vincenti per ingenerare simpatia da parte del pubblico. Ma in realtà questo deriva proprio dalla rilevazione di un dato effettivo e scientifico: la memoria dei pesci è infatti piuttosto breve.

Cecilia Morelli
Classe '95, studia Giurisprudenza presso l’università La Sapienza di Roma. Amante della natura, soprattutto dei paesaggi che offre. L’arte, in ogni sua declinazione, è un elemento centrale della sua vita.