ArtePrimo PianoPillole d’arte: “Tre fanciulle ed un ragazzo” di Wilfried Fritzenreiter

Francesca Ombres18 Ottobre 2020
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Tre fanciulle ed un ragazzo è una serie di quattro statue bronzee realizzate nel 1988 dal moderno scultore tedesco Wilfried Fritzenreiter. Ornavano originariamente la fontana del Palast Hotel, sito a pochi passi dal Duomo di Berlino e distrutto nel 2001 a seguito del rinvenimento di tracce d’amianto. Le statue, salvate dalla demolizione, troveranno nuova collocazione solo sei anni dopo. Nel 2007, infatti, vennero accomodate su uno dei muretti della Spree Promenade, all’altezza del Duomo: tutte le figure, a eccezione della seconda fanciulla, contemplano lo scorrere del fiume che attraversa la città.

Copyright Rafhael Comodino e Francesca Ombres
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Sembrano appartenere a quel luogo da sempre, quasi che il bronzo liquido fosse stato colato “in situ”. Sono “Genii Loci” dell’anima berlinese: sbocciano sugli argini artificiali che costringono la Sprea, acquistandone lo stesso colore scuro, cangiante fra i toni del marrone e del verde petrolio. Le statue di Fritzenreiter ricordano nella gestualità corporale le figure silenziose dei quadri di Edward Hopper, ne sembrano quasi la traduzione scultorea ed “en-plein-air”. Solitarie e introverse, sono assorte nei loro pensieri, sotto il cui peso si incurvano le spalle e ingobbiscono le schiene. Si raggomitolano in se stesse, talvolta avvicinando le ginocchia al busto, bloccandole con la presa delle mani, quasi che il corpo possa divenire scudo che protegga il segreto che custodiscono nelle viscere, da qualche parte fra il cuore e lo stomaco.

Un raffronto tra le opere di Edward Hopper e le statue di Wilfried Fritzenreiter

Mentre i personaggi di Hopper hanno lo sguardo perso nel vuoto, incapaci di qualsiasi comunicazione, lo sguardo delle figure di Fritzenreiter invece non è perso ma altrove: si poggia leggero su qualcosa che non è dato vedere e che sparisce in un istante, portato via dalla corrente del fiume; le figure berlinesi non sono estranee al mondo che le circonda ma ne sono personificazione e scelgono di non comunicare, rispettando l’intimità silenziosa dei loro pensieri. Siedono sulla riva della Sprea, l’una di fianco all’altra, vicine ma lontane, insieme ma sole. La figura all’estrema sinistra è quella di un fanciullo: gira la testa verso destra inseguendo chissà quale ricordo, curva la schiena ampia e con le braccia blocca il ginocchio, che diventa appiglio e riparo del pensiero vagabondo.

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All’estrema destra vi è una donna dai capelli corti: li ha tagliati di netto e si arricciano improvvisamente all’altezza del collo, lasciandolo libero. Le vertebre della schiena accompagnano lo sguardo del fruitore, che scivola sul quel corpo di donna asciutto e slanciato sino ad arrivare alle spalle spigolose, dure pietre levigate dal corso della vita. Inclina il busto all’indietro, con un gesto esperto accavalla le gambe lunghissime in maniera elegante e sapientemente femminile. Le mani si intrecciano e quell’abbraccio a dieci dita trattiene il ginocchio, permettendole di rimanere in equilibrio sul filo sottile dei suoi pensieri.

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La fanciulla che le siede di fianco sembra alla ricerca della posa perfetta: inarca il busto e solleva le spalle, raccogliendo i capelli in un’elegante chignon che non ostacoli la visione della schiena orgogliosa.

Copyright Rafhael Comodino e Francesca Ombres
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Sembra voler imitare l’iconica Kiki De Montparnasse, protagonista della foto Le Violon D’Ingres (1924) di Man Ray. Il suo corpo, al cospetto, è certamente più acerbo e inesperto ma ha comunque profilo di giovane strumento musicale alla ricerca dell’accordatura ideale. Il gesto frivolo delle mani, che arpeggiano nell’aria, sembra voler coordinare tutte le membra del suo corpo di violino, come fosse direttore d’orchestra.

Man Ray, Le violon d’Ingres, 1924

In ultimo vi è la piccola donna che dà le spalle al fiume: ha capelli lunghissimi raccolti in una splendida treccia, che sembra tessuta da premurose mani di madre. Ha lo sguardo poggiato su chissà cosa. Viene voglia di accarezzarla per salvarla da quel gomitolo metallico di pensieri in cui sembra intrappolata ma avvicinandosi ci si accorge che non ne ha bisogno: gli angoli della bocca si incurvano impercettibilmente all’insù e dalla superficie del bronzo, di lì a pochi istanti, affiorerà un sorriso.

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Le braccia poggiano sulle cosce, che leggermente divaricate lasciano spazio per l’incontro delle mani. La sinistra rimane aperta, accarezzando la destra, che invece è ben chiusa in un pugno. Tra le dita, la piccola donna nasconde gelosa il segreto del suo sorriso, che nessuno conoscerà mai.

Francesca Ombres

Sul cielo del suo quartiere di periferia dipingeva i suoi desideri, scarabocchiandoci sopra parole a cui non riusciva a dar fiato. Smise di disegnare, innamorandosi invece di chi aveva ancora il coraggio di farlo. Così le parole mute di ieri divengono oggi “conversazioni immaginarie” - come questa città - con quegli uomini coraggiosi chiamati Artisti.