La condizione umana I è un dipinto ad olio realizzato da Renè Magritte nel 1933 e oggi conservato nella National Gallery di Washington. Il pittore belga, pur mantenendo un riconoscibilissimo stile personale, fu uno dei più importanti esponenti del movimento surrealista. Osservando ad esempio i quadri del collega Salvador Dalì, popolati da figure fantastiche – uomini dal cui ventre si schiudono cassetti, elefanti dalle lunghissime zampe o orologi molli come cera – l’osservatore è consapevole, sin dal primo istante, che quelle figure corrispondano alla surrealtà di un mondo onirico. Ne La Condizione Umana I, invece, si veda come Magritte scelga come soggetto dell’opera la semplicità di una stanza, ritraendola per di più con uno stile fedelmente realistico.
Il pavimento marrone riprende il colore delle tendine ai lati della luminosa finestra, al di là della quale si vede un ameno paesaggio: le nuvole bianche si gonfiano nel cielo azzurrino, i cespugli rigogliosi occupano la linea d’orizzonte e un alberello interrompe con la sua verticalità la longitudinalità della composizione. A ben vedere, tra questo e la tendina sulla destra campeggia un altro elemento verticale: una linea di colore bianco intervallata da piccoli puntini grigi. Sembrerebbe il fianco di una tela bordata. La certezza della nostra fruizione comincia a vacillare. Tre ulteriori elementi verticali, al di sotto della mensola della finestra, spazzano via ogni dubbio: sono le zampe di un cavalletto. All’improvviso ci si rende conto che quello che si osserva è un quadro nel quadro. In tal modo Magritte, silenziosamente, quasi in punta di piedi, sottrae allo spettatore ogni convinzione: cosa stiamo osservando? La realtà o la sua rappresentazione?
Così opera il “saboteur tranquille”, come venne definito Magritte: mette a suo agio il fruitore accogliendolo in un ambiente a lui familiare, poiché identico alla realtà in cui vive (le sue rappresentazioni risultano infatti mimetiche e prospetticamente corrette). Solo pochi momenti più tardi, l’ignaro fruitore si renderà conto che la realisticità della tecnica magrittiana è solo il velo con il quale mimetizza i rompicapo insolubili che sono i suoi quadri. Ormai, ahimè, è troppo tardi per ritirarsi, non resta che giocare. Il mistero è l’ingrediente fondamentale dei quadri di Magritte. Fornire una chiave di lettura corrisponderebbe a porre fine al gioco tra osservatore e sabotatore, poiché il primo cesserebbe di farsi domande. Non vi è un’interpretazione giusta, ma giuste sono tutte le interpretazioni possibili dei quadri magrittiani, che non vogliono fornire risposte ma punti di domanda.
Ne La condizione umana I si potrebbe interpretare simbolicamente il paesaggio al di là della finestra come la realtà e invece il quadro come rappresentazione della stessa, dunque finzione. Tale interpretazione ci riporta al celebre quadro Questa non è una pipa (1928-1929) in cui Magritte rappresenta fedelmente l’oggetto ma aggiungendo all’opera la frase «Ceci n’est pas une pipe» ricorda che ciò che si osserva non è una pipa, bensì la rappresentazione di essa.
Nell’opera del 1933 Magritte evolve il discorso inerente il rapporto tra arte, mimesi e realtà. Dopo aver dipinto il suo paesaggio, per avere una migliore visione d’insieme, fa qualche passo indietro rispetto al cavalletto su cui poggia l’opera e decide di dipingere un nuovo soggetto: il risultato è quello di un meta-quadro, un quadro nel quadro. Il discorso si complica ulteriormente: quello che stiamo osservando è la rappresentazione di un paesaggio ma non potremo mai sapere se corrisponda alla rappresentazione del paesaggio di cui il quadro nel quadro ostruisce la visione. Al di là della tela potrebbero esserci dei prati in fiore, piuttosto che un albero. Magritte mostra la sua visione del paesaggio. Il quadro è tessuto poroso attraverso il quale il pittore filtra e modella a suo piacimento la realtà che lo circonda. Il quadro è dunque simbolo di una visione personale con cui viene interpretata la realtà collettiva. Il paesaggio di Magritte, il suo quadro nel quadro, è solo una delle soluzioni possibili dell’interpretazione della realtà al di là della finestra. Fuor di metafora il paesaggio reale che si vede all’orizzonte rappresenterebbe la realtà, la finestra invece sarebbe il mezzo con il quale ci affacciamo su di essa – ovvero i nostri occhi – e il quadro sarebbe il frutto della contemplazione, dunque simbolo dell’idea personale che viene maturata in noi. Ogni singolo individuo, ammirando quel medesimo paesaggio, avrebbe dipinto un’opera diversa, poiché ognuno guarda il mondo con occhi diversi. In questo consiste la “condizione umana”: nell’infinità possibilità di interpretazioni derivanti da una realtà univoca.

Francesca Ombres
Sul cielo del suo quartiere di periferia dipingeva i suoi desideri, scarabocchiandoci sopra parole a cui non riusciva a dar fiato. Smise di disegnare, innamorandosi invece di chi aveva ancora il coraggio di farlo. Così le parole mute di ieri divengono oggi “conversazioni immaginarie” - come questa città - con quegli uomini coraggiosi chiamati Artisti.