ArtePrimo PianoPillole d’arte: “Il Castello – L’impatto di un libro” di Jorge Méndez Blake

Francesca Ombres15 Settembre 2020
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Il Castello è un’opera dell’artista messicano Jorge Méndez Blake, esposta per la prima volta nel 2007 presso la Biblioteca José Cornejo Franco (Guadalajara) e successivamente presso Città del Messico, Parigi, Venezia, Aspen e Istanbul. In ogni esibizione il muro viene costruito impiegando mattoni locali, mentre il libro utilizzato è sempre il medesimo: un’edizione in spagnolo dell’opera incompleta di Franz Kafka Il Castello.

Nella novella kafkiana, spiega l’artista, «il protagonista, anonimo e minuscolo, lotta contro l’interezza di quel sistema, che è il castello». L’opera di Méndez Blake inscena metaforicamente lo scontro universale del singolo contro il sistema. Quest’ultimo viene rappresentato dal muro in mattoni, esercito compatto di soldatini rigidi e uniformi, di regole ferree e infrangibili, che formano un baluardo apparentemente inattaccabile. Il singolo corrisponde invece all’immagine del libro solitario: pesa meno di un racconto, poiché incompiuto, ed è alto solo qualche pagina sottile ma la forza del pensiero che racchiude sarà in grado di far vacillare anche il nemico più potente.

Gioca d’astuzia, il minuscolo libro: si intrufola nelle fondamenta del castello inespugnabile come piccola bomba che esplode all’improvviso, terremoto lieve che ruggisce timido nel cuore della notte e dondola prepotente la struttura in mattoni. Attacca il sistema scuotendolo per i piedi, quel tanto che basta per risvegliarlo dai suoi sogni di stabilità e fermezza. I mattoni sobbalzano per lo spavento, abbandonano la loro posizione originaria, inclinandosi quel tanto che basta per alterare l’inamovibile ortogonalità della costruzione. Il terreno in muratura – in corrispondenza dell’epicentro – viene solcato da una faglia, un punto di rottura, che è conseguenza de L’impatto di un libro (come venne soprannominata l’opera a seguito del suo successo).

Il libro possiede un paradossale potere distruttivo: lascia sull’epidermide del sistema una cicatrice che ferisce ma solo per guarire e che distrugge ma unicamente per ricostruire. È l’artista stesso, infatti, ad affermare che «scrivere è costruire»: il libro è elemento edile tanto quanto il mattone, con il quale si possano costruire torri da cui vedere orizzonti inesplorati, ponti che mettano in comunicazione territori sconosciuti, tetti che ospitino le idee più valorose e fortezze che difendano le teorie più deboli. «Leggere è creare», aggiunge ancora Méndez Blake: è infatti il lettore che completa l’opera dello scrittore, poiché un libro non letto è tanto inutile quanto una torre di cui mai si scali la cima, un ponte che mai si percorra, un tetto che non ripari da nessuna pioggia o una fortezza desolatamente vuota. È il lettore che abita e percorre i luoghi edificati dalla penna dello scrittore, dando loro senso di esistere e creando mondi paralleli, nascosti tra le pagine dei libri, da cui osservare la realtà da un punto di vista innovatore.

L’opera è un elogio al libro come potente mezzo di cambiamento. È con le idee che il mondo si rinnova e i libri ne sono i custodi più antichi. L’opera è un’esortazione a leggerli ancora, poiché solamente in tal modo si può liberare l’energia che possiedono.

Francesca Ombres

Sul cielo del suo quartiere di periferia dipingeva i suoi desideri, scarabocchiandoci sopra parole a cui non riusciva a dar fiato. Smise di disegnare, innamorandosi invece di chi aveva ancora il coraggio di farlo. Così le parole mute di ieri divengono oggi “conversazioni immaginarie” - come questa città - con quegli uomini coraggiosi chiamati Artisti.