Nel meraviglioso libro-intervista ai fratelli Vanzina curato da Rocco Moccagatta – Carlo & Enrico Vanzina: artigiani del cinema popolare (Bietti, 2018) – si conclude la chiacchierata sugli anni Ottanta con un aneddoto prezioso riguardante il biennio ’88-’89, in cui i due approntarono l’organizzazione di una serie di film televisivi per Fininvest affidati a sei registi pesi massimi (anche se ormai a fine carriera) quali Dino Risi, Alberto Lattuada, Nanni Loy, Mario Monicelli, Luigi Magni e Lina Wertmüller. L’intento era quello di accreditare l’azienda di Berlusconi di fronte al mondo del cinema e il progetto partiva con l’idea di offrire prodotti di altissimo livello. Ma come si era arrivati a questo punto? Quali sono i caratteri peculiari di questo decennio vanziniano? Prima di tutto va ricordata una cosa che sembra scontata e invece, per molti motivi, non lo è affatto: Carlo ed Enrico sono figli di Stefano Vanzina (detto Steno). Il che significa che erano cresciuti a pane e cinema, in una casa frequentata esclusivamente da cinematografari e letterati, avevano studiato in un collegio francese, con le ferie sui set; erano, insomma, figli della borghesia romana e al tempo stesso eredi di una certo brodo culturale. Inoltre, sempre per parte di padre, erano originari di Arona, che si trova sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, ma vive da sempre l’influenza culturale meneghina come tutto il verbanese. E infatti a Milano i due fratelli sono molto legati da sempre. Sembra addirittura che, alla fine dei conti, risultino proprio loro quelli che hanno girato più film nel capoluogo lombardo. In effetti, tornando con la memoria alle loro pellicole dell’epoca, oltre Cortina e la Versilia, vengono in mente proprio via Montenapoleone, la metropolitana, i navigli, i paninari, gli yuppies e lo stadio San Siro. Perciò, se oggi abbiamo un immaginario legato alla milanesità anni Ottanta, è soprattutto grazie ai Vanzina, i quali hanno contribuito anche a valorizzare i comici del Derby prima e quelli di Drive In poi, mescolandoli ai caratteristi e realizzando la formula perfetta di un nuovo cinema popolare proprio nei locali e per le strade della Milano da bere (e da ridere).
Dopo la brillante gavetta come aiuto-registi e sceneggiatori per il padre Steno, Monicelli, Alberto Sordi e non solo, i due realizzano una pellicola da soli – Luna di miele in tre (1976) – sotto l’ala protettrice di Renato Pozzetto, che alla fine degli anni Settanta stava vivendo il suo momento di massimo splendore e che aveva apprezzato alcune trovate di scrittura di Enrico su un set precedente. Il film d’esordio è già alieno nella sua premessa: un uomo si sposa e parte per il viaggio di nozze in Giamaica dove, però, ha pure intenzione di riscuotere la somma di un concorso vinto su una rivista pruriginosa. Le prime battute sono ambientate in casa, fra Stresa e Arona, ma presto la vicenda si sposta in un luogo esotico come molta commedia di stampo vanziniano e post-vanziniano, con quello spirito un po’ esterofilo e molto satirico con cui i due fratelli hanno sempre guardato a nuovi e vecchi ricchi italiani. In fondo, quel mondo i Vanzina lo conoscevano bene in quanto ci erano cresciuti, quindi perché non raccontarlo? Milano arriva solo dopo la disavventura del film con Alan Sorrenti e la curiosa ma riuscita operazione del doppio film con I gatti di Vicolo Miracoli. I fichissimi (1981) sembra nascere dalle viscere di quanto abbiamo detto finora: sotto la capitale della moda, sulla banchina del metrò, si sfidano le bande capitanate da Diego Abatantuono e Jerry Calà, le due figure più forti delle pellicole precedenti, quelle che secondo l’intuizione di produttori e fratelli avrebbero funzionato meglio in sala. E così è stato perché “il terrunciello”, peraltro lanciato proprio da Steno in Fico d’india (1980), apparirà in ben otto film in due anni, probabilmente esaurendo il proprio potenziale, mentre Jerry accompagnerà i Vanzina fino a Fratelli d’Italia (1989), scritto da loro per Neri Parenti, e si costruirà un personaggio più sfaccettato grazie a registi vicini ai fratelli come Francesco Massaro e Marco Risi. Intanto giunge il 1983, l’anno dei Vanzina per eccellenza, quello in cui i due realizzano ben quattro pellicole e di fatto fondano tutto l’immaginario su cui svolgeranno la carriera successiva, a volte in direzioni anche molto diverse e sorprendenti.
In primis c’è Sapore di mare, girato nell’estate del 1982 e ambientato nell’estate del 1964 (anche se alcuni elementi narrativi, come la cronaca radiofonica della vittoria di Gimondi al Tour de France, suggerirebbero invece l’anno successivo). Già questa “svista” ci dice molto sulla natura dell’operazione: una sorta di teen comedy nostalgica, modulata su una colonna sonora di successi musicali d’epoca e pensata per far vivere contemporaneamente a genitori e figli un’esperienza di identificazione. Il fatto che ci sia un errore così grossolano riconduce all’idea stessa di memoria emotiva, che ci fa ricordare soprattutto ciò che abbiamo amato, mettendo in secondo piano il resto. Il successo sarà tale che verrà fatto subito un sequel per la regia di Bruno Cortini, già assistente di Carlo, ancora su un loro soggetto. Lo stesso accadrà anche con Yuppies 2 (1986), ma senza i Vanzina. Il culto creatosi attorno a Sapore di mare è incredibile, un amore sconfinato da parte di un pubblico diversificato e in parte apparentemente inconsapevole del fatto che si tratti degli stessi autori contro cui si inveisce per l’invenzione del cosiddetto cinepanettone. Quel finale con Jerry Calà e Marina Suma che si ritrovano 18 anni dopo alla Capannina di Forte dei Marmi, poi, il campo-controcampo, le carrellate, gli sguardi, è da considerarsi uno dei più belli del nostro cinema degli ultimi 40 anni. Subito in coda, in primavera, uscì Il ras del quartiere, ancora legato al fenomeno Abatantuono (ormai però stanco). E si tratta di un film strano, attraversato con evidenza, subito sotto la superficie, dalla passione dei Vanzina per il nuovo cinema americano di allora (leggasi Walter Hill, William Friedkin, John Carpenter). Milano sembra il Bronx e tutto si fa un po’ inquietante, prima di ricadere nella routine parodistica. Anche qui, come nei film precedenti, fiocca la cinefilia di Carlo ed Enrico, che non è mai fine a se stessa ma è spesso messa al servizio delle gag o persino per definire meglio un ambiente socio-culturale. Infatti, guardando i primi film dei fratelli, si ha un quadro abbastanza esaustivo di quali fossero le pellicole più popolari dell’epoca, quasi meglio di un’indagine archivistica sui dati.
L’autunno è invece il momento di Mystère, primo tentativo di thriller internazionalista realizzato per Goffredo Lombardo e pensato sul modello del coevo noir iper-realista francese con chiari rimandi a quello americano classico e a pellicole come Gilda (1946) di Charles Vidor. Una pellicola che fece conoscere al pubblico un lato diverso dei Vanzina, lontano dalla commedia, e che li mise nelle condizioni di farsi celebrare oggi da certa critica di settore, quella che ama Dario Argento e Fernando Di Leo. Oltre a dare l’impressione di anticipare l’estetica di Omicidio a luci rosse (1984) di Brian De Palma, autore d’oltreoceano cui i fratelli si ispireranno quando potranno tornare al giallo con Sotto il vestito niente (1985). Entrambi questi film giocano sui cliché di un genere che nacque in Italia circa un decennio prima e riadatta quelle atmosfere all’ambiente glamour della Milano anni Ottanta, sostituendo ai complessi edipici una più attuale ossessione per l’immagine e suggerendo un più che inevitabile trait d’union fra Vestito per uccidere (1980) di De Palma e alcuni gioiellini successivi come Inserzione pericolosa (1992) di Barbet Schroeder. Così arriva dicembre e Aurelio De Laurentiis si inventa di portare Sapore di mare ai giorni nostri e sulla neve con il fenomeno Vacanze di Natale. Carlo ed Enrico accettano, soprattutto perché sono estimatori di lunga data di Vacanze d’inverno (1959) di Camillo Mastrocinque e sono sicuri di poter creare, sulla falsa riga di quel loro modello, qualcosa di mai visto. Come in Sapore di mare, anche qui è fondamentale la colonna sonora, una continua e persistente presenza musicale che detta il ritmo della vicenda, accompagnando i diversi personaggi nelle loro avventure, quasi tutte di stampo sentimentale a conferma di un sostrato melodrammatico di tutto il primo cinema vanziniano. Inoltre, Vacanze di Natale contribuisce a confermare alcuni volti del panorama comico dell’epoca (come il dogui di Guido Nicheli) e a definirne altri (il latin lover bugiardissimo di Jerry Calà o il finto elegante un po’ sordiano di Christian De Sica), nonché a dare nuova linfa a una commedia nostrana ormai sfiatata.
La vena giovanilistica si scatena poi con Amarsi un po’ (1984), Vacanze in America (1984) e la serie de I ragazzi della 3ª C (1987-1989), quest’ultima per la regia di un altro figlio d’arte quale Claudio Risi. Si tratta di un vero e proprio vivaio da cui vengono fuori volti più o meno di successo come Claudio Amendola, Fabrizio Bracconeri e Fabio Ferrari. Un progetto di successo che permise ai canali berlusconiani di crearsi un forte seguito di pubblico e una credibilità finanziaria in vista di futuri accordi di trasmissione. Perciò, mentre continuano a lavorare con produttori giovani e vecchi per Yuppies (1986), Via Montenapoleone (1987), I miei primi 40 anni (1987), Monte Carlo Gran Casinò (1987), La partita (1988) e Le finte bionde (1989), Carlo ed Enrico guardano già al mondo televisivo come ancora di salvezza di una nave che sta affondando qual è il cinema italiano del periodo. Non ci sono più soldi e, se ci sono, vengono investiti male. Così fondare una casa di produzione pubblicitaria col nome Video80 e mettere a contratto la clausola di vendita dei propri film alla futura Mediaset dopo il passaggio nelle sale diventano i passi fondamentali di un percorso validissimo di autodeterminazione, mirato a una certa indipendenza pur sempre all’interno di una produzione commerciale e in grado di far risaltare il marchio Vanzina per i tre decenni successivi. Sicuramente fa la sua parte anche la popolarità del progetto Yuppies che, come abbiamo detto, diventerà un cult non dissimile da Sapore di mare e Vacanze di Natale e come questi è rimasto fino ai giorni nostri nel cuore degli spettatori. Poi non va sottovalutato il fatto che i fratelli abbiano creato più di una strada su cui altri hanno fatto le loro fortune, a partire dai vari sequel dei loro successi e in particolare i vari cinepanettoni di Enrico Oldoini e Neri Parenti per De Laurentiis. E proprio a causa di questa filiazione non voluta il loro marchio è stato spesso male interpretato, perché legato a film d’altri che hanno poco a che fare con la loro effettiva produzione e sensibilità. Per vivere meglio, divertitevi con noi non è solo il titolo di una pellicola che ricicla un loro soggetto degli inizi per Pozzetto, è anche e prima di tutto una lettera d’intenti dei fratelli Vanzina.

Alessandro Amato
Nato a Milano, conclude gli studi a Torino, dove continua a lavorare nell'ambito critico e festivaliero. Collabora con "A.I.A.C.E." e il magazine "Sentieri Selvaggi". Dirige rassegne di cortometraggi e cura eventi per la valorizzazione del cinema italiano. Quando capita è anche autore di sceneggiature per la casa di produzione indipendente "Ordinary Frames", di cui è co-fondatore.