Fobie, ossessioni, angosce furono le compagne – possiamo dire – di una vita per Carlo Emilio Gadda e lasciarono una traccia indelebile anche nelle sue opere. Proveniente da un ambiente borghese, la rovina economica della famiglia gli impose una vita di ristrettezze. Qui comincia a maturare il rancore nei confronti dei genitori per averlo esposto a privazioni e sacrifici in precedenza non contemplati. Anche la guerra fu per lui motivo di trauma: partito come volontario nel 1915, colse l’occasione per un riscatto personale, ma presto le sue aspirazioni furono vanificate, anche per la morte del fratello al fronte.
La sue opera più importante e conosciuta resta Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Qui Gadda si rifà allo schema del giallo: un furto e un omicidio danno avvio all’indagine poliziesca, che si accosta a quella ricerca di ordine e di senso nel caos della società. Questa ostinata ricerca – il tentativo di venirne a capo – è destinata al fallimento. L’indugiare sul particolare insignificante, poi, è un procedimento costante e lo stesso titolo – il “pasticciaccio” – rimanda alla disgregazione continua della struttura del romanzo, che si apre in infinite divagazioni. Le stesse, portando all’estremo la deformazione degli oggetti, danno vita a una forma di comicità nella quale però è contenuta la sofferenza: sicché caos e dolore sono le due componenti fondanti della sua opera.
La morte della madre scatenò una serie di sensi di colpa, dai quali Gadda trasse ispirazione per La cognizione del dolore. Il protagonista, Don Gonzalo, incarna perfettamente il suo ideatore: nel ricercare le ragioni del suo malessere, si ravvisa il ruolo primario giocato dall’educazione familiare, fatta di rinunce, divieti e sacrifici finalizzati alla costruzione di una villa che – non più simbolo di prestigio – si rivela un vuoto e inconsistente simulacro. L’isolamento nella villa e la convivenza con la madre risultano intollerabili e le sue manie e ossessioni lo faranno apparire di un ridicolo che, ancora una volta, risulta essere un impasto di tragico e di comico al tempo stesso. L’uscita del romanzo segnerà per Gadda la definitiva consacrazione, che però finirà per determinarne l’isolamento, insofferente com’era alla curiosità del pubblico e bisognoso di solitudine.
La sua originalità è determinata principalmente dall’utilizzo di uno stile unico: un linguaggio personale, risultato della mescolanza tra vari dialetti (italiano standard, linguaggio scientifico, gerghi, arcaismi e neologismi coniati dallo stesso autore); inoltre, la lunga serie di elencazioni di realtà disparate e il gusto di deformare gli elementi attraverso allusioni e doppi sensi sono altri tratti tipicamente gaddiani. Questo caos, che non è fine a se stesso, rispecchia certamente la società così come appare all’autore, che gli causa una sistematica repulsione e – allo stesso tempo – una sorta di morbosità, stante la fissità su particolari insignificanti; di qui, anche, la sua aspirazione all’ordine che si esprime nel linguaggio aulico e poetico ma che sortisce l’effetto di dilatare ancor di più l’immagine di un oggetto. Oltre a ciò, la caratteristica dei romanzi di Gadda è quella di restare incompiuti, quasi a voler sottolineare la vanità di ogni tentativo di ricerca.

Monica Di Martino
Laureata in Lettere e laureanda in Filosofia, insegna Italiano negli Istituti di Istruzione Secondaria. Interessata a tutto ciò che "illumina" la mente, ama dedicarsi a questa "curiosa attività" che è la scrittura. Approda al giornalismo dopo un periodo speso nell'editoria.