Architettura, Design e ModaIn EvidenzaL’intramontabile design dei contenitori in plastica per alimenti Tupperware

Greta Aldeghi19 Giugno 2022
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Conosciutissimi, i contenitori Tupperware preservano gli avanzi dei nostri pasti da tempo immemore, diventando articoli onnipresenti nelle nostre cucine. Poco nota, però, è la storia di come questi recipienti in plastica morbida e tonalità pastello siano entrati nelle nostre case a partire dalla metà degli anni ’40.

Inserzioni pubblicitarie della Tupperware, anni 1959, 1960 e 1965

Negli anni ’30 Earl Silas Tupper, assistente tecnico della Viscoloid – una divisione della DuPont Chemical Company – inizia a sperimentare sulla plastica, allora utilizzata solo come isolante, nei radar e nella radio, lavorando gli scarti di produzione di polietilene: una nuova termoplastica morbida e flessibile. È così che nel 1938, Tupper fonda la Tupperware Plastics Company per produrre – negli anni della guerra – maschere antigas per le truppe americane, per poi commercializzare – a conflitto terminato – i suoi nuovi contenitori. La sfida di utilizzare la plastica, materiale all’epoca ancora primitivo, fu geniale: era solo necessario trasformare questo materiale scuro e maleodorante in qualcosa di adatto per consumatori decisamente più esigenti dei soldati. Riuscì così a sviluppare una versione migliore, che battezzò con il pomposo nome di “Poly T – Il Materiale del Futuro”: un materiale leggero, robusto, igienico e inodore. Mise, quindi, a punto un nuovo processo di stampaggio a iniezione e nel 1945 la Tupperware Plastics lanciò sul mercato la sua linea di recipienti per alimenti. Inoltre, in modo molto ingegnoso – ispirandosi al sistema d’incastro delle latte di vernice – il bordo del coperchio, brevettato, garantiva una chiusura ermetica.

Immagini pubblicitarie della Tupperware, datate tra il 1950 e il 1956

Nonostante le sue apprezzabili caratteristiche, la novità del materiale – praticamente sconosciuto – e la scarsa comprensione dell’uso della chiusura ermetica resero i prodotti Tupperware un vero insuccesso. È solo quando notò casualmente che due rappresentanti della Stanley Works – una delle più importanti case di utensileria – vendevano anche i suoi prodotti, che Tupper comprese l’opportunità della vendita diretta stringendo una collaborazione con tutti i rappresentanti della Stanley. Ma la vera rivoluzione giunse grazie all’incontro con Brownie Wise, una perspicace signora con ottime doti di venditrice e un intuito particolare per quello che desideravano le casalinghe, che – negli anni ’50 – fonda la “Patio Parties” organizzando vendite dirette di prodotti dei più disparati generi, utili per la famiglia media americana.

Tupperware party – modello di vendita ideato da Brownie Wise per la Tupperware Plastics Company

La Wise convinse Earl Tupper che la chiave del successo stava nel suo metodo di vendita: grazie a delle vere e proprie feste organizzate a casa dei clienti, e a spiccate doti oratorie, la Wise presentava – quasi come consigli tra amiche – le novità del mercato. Fu così che nel 1951 la Tupperware Plastics ritirò tutti i suoi prodotti dai negozi e iniziò a venderli esclusivamente tramite riunioni organizzate da promotrici porta a porta: nacque così il famoso “Tupperware Party”, un nuovo modo per arrivare al consumatore in maniera diretta, coinvolgente ed efficace, gestito quasi esclusivamente da donne. Il successo di questa modalità di vendita stava nella capacità di comprendere lo stile di vita delle donne dei sobborghi americani: periferie – vera e propria incarnazione dell’American Dream – costituite da abitazioni unifamiliari, così uguali tra loro da sembrar essere uscite da una catena di produzione fordista, e animate da dinamiche sociali imperniate sulla famiglia e sul rito del barbecue domenicale, momento di interazione e aggregazione.

Immagine pubblicitaria della Tupperware, inizio anni ’60

I prodotti Tapperware diventano il corredo di questi riti: un contenitore per mantenere fresca l’insalata oppure caldi gli hamburger, una brocca per la limonata o un vassoio coperto per le torte. E quando negli anni ’60 il gusto si trasforma, la Tapperware raccoglie la sfida progettando contenitori e utensili per gli usi più disparati, dagli scrittoi fino a una collezione di giocattoli, che grazie all’utilizzo del polietilene risultano più robusti, colorati e igienici di quelli tradizionali in stoffa, legno o latta. Anche l’arrivo dei forni a microonde è per la Tapperware Plastics Company un’opportunità che la porta a studiare e sviluppare una linea di prodotti appositamente pensati per passare direttamente dal congelatore al microonde.

Sempre aggiornata, ma invariata nella sostanza, Tapperware arriva agli anni ’90: un vero e proprio periodo di svolta. Si rende conto che le strategie di mercato dei “Tapperware parties” non sono più sufficienti per raggiungere le casalinghe moderne, non più interessate a un modello di vendita così diretto e coinvolgente. Ecco, quindi, che prima mette in rete il proprio sito dove pubblicizzare i prodotti e attiva una sezione e-commerce, poi invece ritorna in esclusiva sugli scaffali di alcune grandi catene di distribuzione. Contemporaneamente aggiunge prodotti alla linea, a cui affianca un’operazione di re-design che ha permesso ai prodotti non solo di durare una vita intera, ma di restare attraenti e accattivanti nonostante le diverse epoche.

Immagini pubblicitarie della Tupperware – catalogo 2016 e 2020

È difficile non considerare questo brand un vero e proprio fenomeno popolare basato sul concept “funzionalità e coinvolgimento”. Un nome che è diventato termine generico per identificare tutti i contenitori in plastica per alimenti e un’azienda che, in più di 75 anni di storia, grazie al contenuto innovativo dei prodotti e a una strategica scelta di penetrazione del mercato, si è trasformata da “novità” a vera e propria “icona sociale”, capace di seguire da vicino tutti gli aspetti – economici, estetici e culturali – della vita domestica americana e mondiale.

Greta Aldeghi

Laureata in design, lettrice incallita e viaggiatrice creativa. Adora design, arte, architettura, scrittura e la ricerca senza fine di nuove esperienze da affrontare.