ArtePrimo PianoNicolas Poussin e Valentin de Boulogne nella Basilica di San Pietro: due dipinti in competizione

Anna D’Agostino9 Luglio 2022
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Fra i «molti franzesi e fiamenghi che vano e vengono e non li si può dare regola», come scrisse il biografo Giulio Mancini nelle sue Considerazioni sopra la pittura (1617-1621) per descrivere la situazione artistica romana a lui contemporanea in cui gli artisti arrivavano nella città papale per apprendere l’arte dei loro predecessori, vi erano i francesi Nicolas Poussin e Valentin de Boulogne.

Il primo è un giovane pittore formatosi a Parigi, affascinato dallo studio delle antichità, dei disegni e dipinti dei protagonisti del Rinascimento italiano, che suscitarono in lui il forte desiderio di raggiungere l’Italia. Il sogno diventò realtà nel 1624: dopo una breve sosta a Venezia, egli fece il suo ingresso a Roma e nel giro di pochi anni si affermò come uno dei principali protagonisti del panorama artistico cittadino. Solamente le pressioni di Luigi XIII, che reclamava la sua presenza alla corte di Francia, riuscirono a riportarlo in patria nel 1640.

L’arrivo a Roma di Valentin de Boulogne, invece, non fu subito roseo. Egli arrivò nella città pontificia intorno al 1613, dove rimase folgorato dal realismo e dall’innovativo uso della luce nei dipinti di Caravaggio. Dopo un periodo difficile, estraneo agli ambienti artistici ufficiali e sempre a corto di denaro, incontrò il favore del cardinale Francesco Barberini dal quale ottenne numerosi incarichi.

Per questi due artisti francesi venuti a Roma sono significative, per ognuno di essi in modo differente, due tele destinate a due altari del transetto destro della Basilica di San Pietro, aventi come soggetto il martirio, tema assolutamente allineato alle prescrizioni della Riforma cattolica, che sosteneva la necessità di rivalutare il culto dei santi martiri della Chiesa primitiva. Per Poussin la pala con il Martirio di Sant’Erasmo rappresenta la prima opera pubblica a lui commissionata a Roma, mentre con il Martirio dei Santi Processo e Martiniano, Valentin de Boulogne raggiunse la definitiva fama a seguito del disastroso periodo iniziale.

Nicolas Poussin, Martirio di Sant’Erasmo, 1628 – 1629, olio su tela, 320 x 186 cm, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana

La pala d’altare con il Martirio di Sant’ Erasmo, inizialmente commissionata a Pietro da Cortona, passò nel 1628 a Poussin, che la realizzò entro l’anno successivo, seguendo i disegni preparatori già elaborati dal Cortona. Firmata orgogliosamente dall’artista francese con la forma latinizzata del proprio nome (in basso a sinistra, in corrispondenza della testa del santo, compare la scritta “Nicolaus Pusin fecit”), si presenta come una magistrale operazione di sintesi tra le varie influenze culturali del tempo. Il modo di rappresentare l’evento trae ispirazione dalle opere di Caravaggio, che Poussin conosceva e ammirava. Il martirio non è solamente un’estrema testimonianza di fede, ma diventa un cruento omicidio, una sadica tortura consumata sotto lo sguardo torvo di un idolo pagano. Alcuni dettagli archeologici creano l’ambientazione della scena. Il martirio si consuma in primissimo piano, davanti a un tempio pagano di cui si intravedono l’alto basamento e le due imponenti colonne scanalate. La statua di Ercole, nudo e accigliato, rappresenta l’eroe per eccellenza del mondo antico, al quale la cristianità oppone un modello nuovo. É proprio tale statua che un sacerdote indica: è l’idolo pagano che Erasmo aveva rifiutato di adorare, subendo per questo il martirio sulla pubblica piazza. Un soldato romano a cavallo incaricato dell’esecuzione comanda a uno dei carnefici di azionare l’argano da marinai al quale viene arrotolato l’intestino di Erasmo, che un altro carnefice sta estraendo dal suo ventre. Malgrado il volto di Erasmo mostri un evidente dolore, il suo corpo è composto e reso glorioso dal coraggio e dalla fede con cui egli affronta il proprio destino.

Sorprende come un evento così crudele si svolga per contrasto in una giornata di sole abbacinante, in un’atmosfera rarefatta e ovattata. La scelta di Poussin non fu casuale: la luce proveniente da sinistra simboleggia la luce divina che accompagna il santo nel suo doloroso cammino. I due angioletti che compaiono in cielo, sono portatori del messaggio di salvezza: stanno recando a Erasmo i doni riservati ai martiri, la corona e la palma. Con larghe pennellate di colore su una base rossastra, Poussin accentua la tonalità calda che pervade l’intero dipinto.

Nella sua veste di protettore di marinai, il santo vescovo di Formia, che subì il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano nel 303 d.C., era in origine rappresentato con in mano un piccolo argano intorno al quale era attorcigliata una corda. Fu alla fine del Quattrocento che la sua iconografia mutò radicalmente: interpretando l’argano come strumento del martirio, la corda si trasformò negli intestini del santo e si cominciò a rappresentare in questo modo il supplizio. L’episodio è stato raramente tradotto in pittura e la pala di Poussin è uno dei primi esempi in Italia.

La composizione eseguita dall’artista divenne un vero e proprio prototipo per le successive rappresentazioni di episodi di martirio e a essa si ispirò anche Valentin de Boulogne per il Martirio dei Santi Processo e Martiniano.

Valentin de Boulogne, Martirio dei Santi Processo e Martiniano, 1629, olio su tela, 302 x 192 cm, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana

Questa tela, commissionata dal cardinale Barberini, fu eseguita nel 1629 e raffigura due santi paleocristiani di cui non si hanno molte notizie: essi erano due soldati che furono incaricati di sorvegliare gli apostoli Pietro e Paolo imprigionati in carcere a Roma. Ma avendo confessato di essersi convertiti al cristianesimo, furono prima torturati e quindi decapitati. In mancanza di fonti che descrivessero con esattezza l’evento, Valentin immaginò che i due santi fossero stati sottoposti ai supplizi riservati ai comuni malviventi: uno sgherro aziona il tavolaccio per mettere in dolorosa trazione il corpo dei martiri, mentre un altro sta per percuoterli con una sbarra di ferro e un terzo prende con le pinze un tizzone ardente con cui strazierà le loro carni.

Il vecchio con la barba bianca che assiste alla tortura dei due santi è il magistrato romano Paolino che, improvvisamente, si rende conto di essere diventato cieco da un occhio. Egli ha appena dato l’ordine di sospendere l’esecuzione e di riportare in carcere i due prigionieri, accusati ora anche della colpa di essere maghi (durante la persecuzione di Nerone cristianesimo e magia erano infatti considerati quasi sinonimi). Di lì a poco Paolino morirà e i “maghi cristiani” Processo e Martiniano saranno condannati alla decapitazione dell’imperatore Nerone.

In questa sua prova, Valentin de Boulogne mostra di avere riflettuto a lungo sulla pittura del Caravaggio e di averne assimilato profondamente la lezione, innanzitutto per quanto riguarda l’adesione al vero, come si nota nel particolare dei piedi sporchi e del volto sofferente dei due santi. Inoltre, inserisce una diretta citazione dal Merisi: si tratta della figura dell’angelo, che sembra quasi precipitare a capofitto dalle nubi, nella foga di porgere la palma del martirio. Usato per movimentare la scena e accentuarne la drammaticità, è un’invenzione che Caravaggio aveva già impiegato nel Martirio di San Matteo.

Quando il quadro di Valentin de Boulogne fu collocato nella basilica di San Pietro venne subito messo a confronto con il Martirio di Sant’Erasmo che Poussin aveva terminato da poco per un altare vicino, in quanto i riferimenti a quest’ultimo risultavano evidenti: pertanto le due opere furono in competizione tra loro. Nell’accesa disputa Valentin sembrò avere la meglio e chi sosteneva la sua supremazia ne lodava la fedeltà al vero naturale, la forza espressiva e la magistrale gestione della luce, capace di armonizzare tra loro i vari colori. Chi parteggiava per il giovane Poussin e per la sua prima opera pubblica a Roma, gli riconosceva invece una maggiore abilità nella descrizione delle passioni dell’animo umano e una notevole fantasia nell’organizzazione della scena.

Anna D’Agostino

Classe '93, laureata in Storia dell'Arte con una tesi in Museologia sull'arredamento dell'Ambasciata d'Italia a Varsavia dalla quale è scaturita una pubblicazione in italiano e polacco. Prosegue la ricerca inerente l'arredamento delle Ambasciate d'Italia nel mondo grazie a una collaborazione con la DGABAP del Mibact. É iscritta al Master biennale di II livello "Esperti nelle Attività di Valutazione e di Tutela del Patrimonio Culturale".