ArtePrimo PianoMilano incontra l’arte performativa di Dennis Oppenheim

Giulia Ferri12 Luglio 2019
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Ancora poche settimane per poter visitare presso la Galleria Conceptual di Milano la mostra personale dell’artista Dennis Oppenheim (Electric City, 1938 – New York, 2011), colosso della cosiddetta Land Art.

Fino al 28 luglio sarà infatti possibile ammirare una serie di documentazioni fotografiche delle principali “performance” e installazioni che a partire dagli anni ‘60 rivoluzionarono il concetto stesso di arte, attraverso una destrutturazione e ricomposizione della forma artistica tesa a rivalutare il ruolo dell’artista e dello spazio fisico in un’ottica di unificazione e fluidità spaziale, in grado di portare alla creazione di innovative composizioni estetiche a diretto contatto con l’ambiente naturale e la sua intrinseca forza trasformativa.

Oppenheim, proveniente dal mondo della pittura più classica e tradizionale, dopo gli studi al California College of Arts e alla Stanford University, abbandona la produzione di oggetti artistici per sperimentare direttamente su luoghi e ambienti una nuova forma d’arte volta a indagare la relazione tra uomo e natura nella sua ciclicità. Fino alla metà degli anni Sessanta si dedica prevalentemente alla modificazione paesaggistica nella quale rientrano i lavori effettuati sulle due sponde ghiacciate del fiume St. John o i cerchi concentrici al confine tra Canada e Stati Uniti, portando successivamente l’arte performativa che lo aveva contraddistinto verso una perenne sperimentazione fisica del proprio corpo.

Gli Earth Works di Oppenheim e di altri artisti di questa corrente mettono lo spettatore a diretto contatto con le infinite possibilità di plasmabilità del corpo umano con il contesto circostante, in un ciclo infinito di dematerializzazione e componibilità che trova il suo apice nella forza della natura stessa, in grado di deformare e riassorbire le sculture e le installazioni dell’uomo.

La mostra è dunque un’esperienza che permette al visitatore di assistere a un alternativo utilizzo dell’arte a 360 gradi, dove gli stessi scatti fotografici diventano una componente fondamentale del lavoro artistico: un “continuum” visivo che documenta un frammento dell’opera, creandone allo stesso tempo uno nuovo.

Giulia Ferri

Classe '95, durante gli anni universitari si sposta tra Bologna, Siena e Barcellona, laureandosi prima in Antropologia e successivamente in Strategie Comunicative. La sua vita si racchiude in una macchina fotografica e un buon vecchio classico.