ItinerariPrimo PianoMemoriale di viaggio: suggestioni e visioni da Matera

Giorgia Pellorca28 Giugno 2019
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Quest’anno Matera è la Capitale Europea della Cultura; e lo si capisce subito attraversando le sue vie affollate. Un fiero fervore anima gli abitanti della città. Nella piazza principale, Piazza Vittorio Veneto, si rimane subito catturati dalle grandi e ornamentali luminarie. Un campo di minibasket è posto al centro: si sta tenendo un torneo internazionale. I piccoli giocatori, tra un’attesa e l’altra, quando possono fuggono per confondersi con i turisti. In lontananza si intravede un grosso elefante dalle lunghissime zampe: è una delle magnificenti sculture di Salvador Dalì disseminate per la città. Si aprono scorci in ogni dove: Matera ricorda ogni istante ai visitatori che è famosa per i suoi Sassi. Non occorre luce per rimanerne affascinati: anche in giornate cupe le pietre risplendono. Sono rocce antiche che hanno assorbito il tempo facendosene testimoni. Sono rocce di una corruzione perfetta. Acciottolate si susseguono le abitazioni/grotte, le vecchie botteghe, qualche ristorante. Un’anziana racconta di quando si portava l’impasto del pane al forno comunale e prima di farlo cuocere gli si imprimeva sopra il marchio di famiglia per riconoscerlo una volta cotto tra le centinaia di pagnotte. Una finestrella è dipinta a mano: due amanti si baciano.

È un susseguirsi di salite e discese, gradini, solchi e balconate. Se si passa una mano sopra la pietra la si sente incandescente. Ha il colore della spuma del mare e gli osservatori più attenti riusciranno a scorgere anche qualche conchiglia: Matera ha origini marine. Era interamente ricoperta dalle acque poi ritiratesi. Il mare ha lasciato le sue tracce su alcune pareti nelle conchiglie fossilizzate che sembrano orpelli. C’è un gran ribollire in città. E non è per le alte temperature. A breve, il 2 luglio, verrà celebrata la Madonna della Bruna, Protettrice di Matera. I preparativi per festeggiarla impazzano. Ma i Sassi di Matera in passato sono stati considerati vergognosi. Ora le rocciose conche si stanno riprendendo tutto ciò che è loro dovuto. Davanti a un belvedere non si può fare a meno di pensare di voler portare qui chi si ama. Quelle pietre ti sciolgono il cuore; anche di notte, tinteggiate di arancio dalle luci, non perdono il loro antico incanto. Carlo Levi passò il suo confino nella terra di Lucania. C’è un’ala dedicata ai suoi quadri a Palazzo Lanfranchi; fu egli stesso a donarli alla città. Uno è così grande che sembra non finire: Lucania ’61. Fu il poeta Mario Soldati a commissionarglielo per il centenario dell’Unità d’Italia; Soldati volle che fosse proprio Levi a rappresentare la Lucania, come se lui, cittadino adottato, ne avesse capito la vera essenza. Il pannello è di una certa intensità. Protagonista è l’umanità. È una narrazione sulla vita rurale, sui contadini, sulla povertà, sulla disperazione e soprattutto sulla speranza. Dai volti dei personaggi emergono le più dense emozioni. Sono tratteggiate come in un romanzo. Ogni ruga, ogni espressione, ogni occhio che guarda lo spettatore si fa veicolo emozionale che incatena chi lo sta guardando. Si lascia qualcosa davanti a quel quadro. Uscendo non si può fare a meno di voltarsi e continuare a guardarlo per vedere se davvero ha trattenuto qualcosa o semplicemente siamo stati noi ad averglielo voluto lasciare.

Entrando in una spelonca arredata e un tempo abitata l’attenzione cade sugli utensili museali: uno schiaccia patate di legno, un piatto rotto “ricucito”, il pentolame di rame. Dietro l’altissimo letto è posta una piccola stalla con la paia, il fieno, la falce, l’abbeveratoio: lì vi erano gli animali che durante l’inverno aiutavamo a mitizzare l’ambiente. E tutto ci riporta alla dimensione e all’origine cristologica: la grotta, gli animali, la famiglia. Non a caso Matera è stata scelta come sfondo per i film Il vangelo secondo Matteo di Pasolini, La passione di Cristo di Mel Gibson e molti altri. Matera dà l’idea di luogo d’origine, casa genitoriale, culla che ci ha donato i natali. Entrando nelle chiese rupestri sembra di sentire i canti liturgici dei progenitori. Riti, preghiere, auguri incastrati tra le pietre che aleggiano intorno agli affreschi ancora vivi, ancora lucenti; una Madonna dal volto severo allatta dolcemente il Bambinello. Santa Lucia mostra altera il miracolo degli occhi e ci invita infatti a guardare bene: uscendo uno sguardo ci segue; è l’unico occhio rimasto al volto di una Vergine logorato dal tempo. Sembra egizio quell’occhio: è nero, profondo, misterioso e conturbante.

Giorgia Pellorca

Vive nell'agro pontino e quando può si rifugia in collina, a Cori, tra scorci mozzafiato, buon vino e resti storici. Ha studiato Lettere moderne per poi specializzarsi in Filologia. Curiosità ed empatia si fondono nell'esercizio dell'insegnamento. Organizza eventi quali reading e presentazioni di libri.