CinemaPrimo PianoAlla riscoperta di Ugo Gregoretti, fra cinema e televisione

Alessandro Amato29 Dicembre 2019
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Nella “Nota del Traduttore” a La passeggiata di Robert Walser (Adelphi, 1976), si enunciano gli elementi costitutivi della personalità dello scrittore: «Introversione, visionarietà, umiltà, tendenza a minimizzarsi, rassegnazione, orgoglio frustrato, volubilità, ironia». Noi queste parole vorremmo prenderle a prestito per descrivere Ugo Gregoretti, almeno in parte. Il regista romano era soprattutto ironico, diremmo addirittura sarcastico. Come quando in una puntata di Controfagotto, il suo rivoluzionario programma di costume satirico andato in onda nel 1961, chiede a un organizzatore del carnevale se teme l’intervento della censura per la mise un po’ osé di certe maschere; al suo «No, non penso», risponde con un sardonico: «Ah, non pensa?». Gregoretti ha attraversato cinquanta e più anni della storia dello spettacolo italiano, sempre con questo tono un po’ derisorio, prendendosi molto sul serio ma certo non abbastanza perché lo facessero anche gli altri.

Quando viene invitato col suo film d’esordio, I nuovi angeli (1962), alla prima “Semaine de la Critique” di Cannes, deve rinunciare alla preziosa presentazione per solidarietà a Mario Monicelli, il cui episodio di Boccaccio 70 (1962) è stato tagliato dalla direzione del Festival per ovviare l’eccessiva lunghezza della pellicola. Assai più di recente, Gregoretti e Monicelli ne parlano durante un evento alla Casa del Cinema di Roma e il secondo non solo glissa sulla questione, ma addirittura sbaglia a collocare l’accaduto temporalmente. Questo solo per dire che i ricordi sono come gli acciacchi: ognuno ha i suoi. Ugo – che odiava il suo nome di battesimo «perché ha un suono troppo gutturale» – sembra aver subito questo genere di situazione per tutta la vita: costantemente emarginato, sottostimato, non riconosciuto. Per molti non riconoscibile, seppure in realtà i suoi lavori fra loro si parlino molto più di quanto non sembri. Anzi, a ben vedere, si nota un percorso.

Una prima tappa corrisponde alla fase cronachistica sul boom economico, ovvero quei tre progetti che il nostro realizza coi produttori Alfredo Bini e Franco Cristaldi e sotto l’ala protettrice di Roberto Rossellini. Il pollo ruspante (1963, episodio di Ro.Go.Pa.G) dimostra in primis la distanza di Gregoretti dalle tendenze tragicomiche della nascente Commedia all’italiana e lo indirizza piuttosto nel campo della sociologia statunitense. Omicron (1963) nasce dall’idea di girare in una fabbrica un film sugli operai: ne scaturisce una sorta di favola tra fantascienza e politica. Per la parte del protagonista viene scelto il “bello ma povero” Renato Salvatori, che dimostra grande professionalità e stupisce tutti. Mentre Le belle famiglie (1964) è una meno riuscita farsa a episodi con la partecipazione di Adolfo Celi, Sandra Milo e Totò. Nel complesso una parentesi promettente ma di scarso riscontro, tanto da convincerlo a tornare in tv.

Allora ecco Il circolo Pickwick (1968), sceneggiato in sei puntate che Gregoretti considera solo un lunghissimo film che non è passato dal grande schermo prima di approdare su quello piccolo. Ma anche Le tigri di Mompracem (1974), Romanzo popolare italiano (1975) e Uova fatali (1977), tutti lavori per la televisione che evidenziano la sua passione per la letteratura straniera, la volontà di produrre oggetti qualitativamente solidi e soprattutto di sperimentare – con l’amico e collaboratore Eugenio Guglielminetti – nel campo degli effetti visivi e della scenografia.

Forse anche questo sentirsi sempre un po’ fuori posto, combattuto fra ambizione e soggezione, ha fatto sì che non abbia insistito nel fare film per il cinema. La frustrazione è peraltro evidente in Maggio musicale (1990), l’opera semi-autobiografica che affida alle elucubrazioni di un regista d’Opera dal passato cinematografico la rappresentazione di un senso di impotenza raggelante. Gregoretti si è comunque preso notevoli soddisfazioni, come la direzione dal 1980 al 1989 della Rassegna Benevento Città-Spettacolo e dal 1985 al 1989 del Teatro Stabile di Torino. Recitazione e regia sul palcoscenico, al cinema e in televisione, sono proseguite poi fino al nuovo Millennio, con progetti anche importanti che vanno da Caro Petrolini (1983) – ennesimo gioco con il sodale Gigi Proietti – a Pinocchio (mal)visto dal Gatto e la Volpe (2016) con Andrea Camilleri. L’invito che si intende fare qui è quello di riscoprire un personaggio straordinario dello spettacolo del nostro Paese.

Alessandro Amato

Nato a Milano, conclude gli studi a Torino, dove continua a lavorare nell'ambito critico e festivaliero. Collabora con "A.I.A.C.E." e il magazine "Sentieri Selvaggi". Dirige rassegne di cortometraggi e cura eventi per la valorizzazione del cinema italiano. Quando capita è anche autore di sceneggiature per la casa di produzione indipendente "Ordinary Frames", di cui è co-fondatore.