LetteraturaPrimo PianoL’”Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto: la futile ricerca del senso della vita

Adele Porzia30 Dicembre 2021
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La letteratura è spesso specchio dei tempi. Li riflette e ne offre al contempo un’analisi particolarmente precisa. O, almeno, tra i tanti, questo è presupposto della grande letteratura. E noi possiamo vantare molti grandi scrittori (anzi, poeti, perché gran parte della letteratura italiana è in versi) che hanno compreso fino in fondo la realtà, indagandone senza illusione gli aspetti meno visibili. Tra questi, è il caso di ricordare Ludovico Ariosto, sventurato poeta presso gli Este, la grande casata ferrarese.

All’interno della sua opera più celebre, l’Orlando furioso naturalmente, Ariosto riprende la passata tradizione epico-cavalleresca e la rinnova, avvicinandosi alla struttura del romanzo. Però, si allontana dal racconto epico, perché a essere materia di narrazione non è la vicenda lineare di un singolo eroe, ma un intersecarsi vertiginoso di storie parallele, trame diverse che si collegano e si disgiungono. Eppure, in mezzo ai fili di questa ingarbugliata matassa, sono presenti due filoni principali: da una parte la guerra tra Mori e Cristiani, combattuta da Carlo Magno e Agramante, e dall’altra la storia d’amore tra Ruggiero e Bradamante.

Parliamo, innanzitutto, di un poema encomiastico, volto a esaltare la casata d’Este e in particolare la persona del cardinale Ippolito. E Ariosto, in questo, si riallaccia all’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, a sua volta rivolto al duca Ercole I, sempre della casa ferrarese. Quindi, l’autore si ricollega alla storia d’amore di Orlando – seppur trattando la sua follia – e lo eleva a protagonista non esclusivamente dell’opera, ma dell’epoca corrente. Dunque, l’indomabile cavaliere diviene simbolo del tempo fugace e precario del suo protagonista.

Tutto pare essere in perenne trasformazione per Ariosto e, da un punto di vista innanzitutto politico, il poeta riflette sul governo della signoria, insufficiente a respingere gli attacchi degli stati europei ben più forti e organizzati, in un’Italia instabile e perennemente soggetta ai capricci della storia. Ed è qui, in questa perenne instabilità, in cui tutto cambia e si trasforma, che Orlando – insieme agli altri personaggi – si fa icona della ricerca, grande tema del poema. In questa varietà di storie e personaggi, in questa immensa frammentarietà che rivive a livello strofico con l’ottava e a livello linguistico con i diversi dialetti italiani, sin dall’inizio assistiamo a una fuga e a un inseguimento.

Angelica, perenne oggetto di desiderio verso cui tutti tendono, scappa da Orlando e Rinaldo. Fugge forsennatamente e i due cavalieri la cercano, la rincorrono, tentando di non perderne le tracce. La bellissima Angelica diviene un sogno, un fantasma, che tutti tentano disperatamente di afferrare, ma non riuscendo nell’intento finiscono per perdersi. La desiderano tanto da cercarla fino in capo al mondo, tanto da non sospendere mai la forsennata ricerca. Eppure, questo perenne vagare, questo errare, inseguendo qualcosa che non si può raggiungere, genera follia. La stessa di cui diviene massimo simbolo Orlando. Difatti, rendendosi conto che Angelica non lo possa riamare, questi impazzisce e ci sarà bisogno che sia Astolfo a recuperarne il senno, in quel bellissimo viaggio sulla luna.

Ariosto, a sua volta, diviene egli stesso inseguitore dei suoi personaggi, in questo poema così complesso e intricato, sviluppando una struttura quasi a matriosca: Orlando e Rinaldo inseguono Angelica che fugge, così come Ruggiero e Bradamante, e sono a loro volta inseguiti da Ariosto stesso. Questa fuga non porta a nulla, se non ad altre difficoltà. Gli errori fatti dai personaggi, come l’amore di Orlando e la sua follia, sono dovuti proprio al loro stesso errare e vagare. Al loro sfuggire al destino, col rischio di perdersi in una selva che è il mondo o in un labirinto, come quello di Atlante, inseguendo un’illusione che li allontana dalla verità e dal loro dovere. Infatti, Orlando, una volta che avrà ritrovato il senno, tornerà sul campo di battaglia e condurrà l’esercito cristiano alla vittoria. Ruggiero, invece, destinato a sposare Bradamante e a dare origine alla casa d’Este, incontrerà l’amata e i due convoleranno a nozze.

Ognuno ha un preciso porto cui approdare, ma i personaggi si perdono nell’inseguimento di qualcosa che spesso li allontana dal destino cui sarebbero naturalmente indirizzati. Questo vagare, naturalmente, è finalizzato a trovare il senso della vita, il significato stesso della ricerca umana. E il poema diviene la riflessione sul senso che non si trova e la cui spasmodica ricerca rischia di condurre alla follia. La struttura intricata, la varietà linguistica, i tanti personaggi servono al poeta proprio a rendere visivamente questo continuo perdersi e disperdersi.

E Ariosto, nonostante sia un narratore onnisciente, si ritrova a inseguirli a sua volta, realizzando così un poema pieno di ironia e disincanto sull’esistenza e sul periodo storico che vive. E così, tutti i personaggi si ritrovano a vivere la stessa epoca fugace di Ariosto, in cui tutto pare essere in divenire. E, in questo guazzabuglio, in questo continuo errore dovuto all’errare, Ariosto non ci consiglia forse di ignorare quello che non possiamo controllare e di rilassarci, accettando ciò che sarà? Magari sarà anche meglio di quello che abbiamo futilmente e inutilmente cercato di raggiungere.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.