Don Giovanni è tra i più bei personaggi mai creati. Ripercorrere la sua storia significa fare un viaggio attraverso i secoli. Passare dal teatro spagnolo alla poesia inglese, dalla lirica italiana al teatro francese, in un vorticare continuo nelle storie locali e culturali di tutte le nazioni toccate, al punto che si creano tante versioni di questo seduttore, una per ogni nazione. E di questa ricchezza non possiamo che farcene gran vanto. Quella del Don Giovanni è la storia di un amante, di un seduttore cui non si può sfuggire. Totalmente incurante di stato e classe sociale delle sue prede, è interessato solo alla conquista. E alla fine questo infaticabile seduttore viene immancabilmente punito per le sue malefatte. Perché nulla era maggior motivo di disprezzo, nel Seicento e nel Settecento, di una sfrenata attività sessuale.
Quando, quindi, il Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadeus Mozart andò in scena a Vienna, tutti avevano ben chiara la storia di questo personaggio, reso celebre proprio grazie al teatro spagnolo, nel suo “siglo de oro”. E non si sarebbe trattato solo di un’opera lirica, ma di una delle più belle mai scritte. Eppure, in questa sede non si è scelto di parlare del Don, ma dell’ideatore della sua versione italiana, quel librettista e poeta che risponde al nome di Lorenzo Da Ponte, che parve essere parecchio somigliante al protagonista del suo libretto. Autore, oltre che dell’opera sopracitata, anche di altri due capolavori quali Le nozze di Figaro e Così fan tutte, scritte a poca distanza l’una dall’altra, in un periodo particolarmente florido di questo scrittore non abbastanza conosciuto.
Ai contemporanei non sfuggiva che Da Ponte avesse molto talento, ma sapevano bene che ai carmi preferisse l’amore di qualche donzella. E questa fu la ragione per cui non si dedicò mai troppo a lungo alla poesia, preferendo la compagnia femminile. Al punto che, quando stava scrivendo il Don Giovanni, fu costretto a limitare gli incontri con una sedicente sedicenne della porta accanto, perché doveva assolutamente terminare il libretto in tempo per la messa in scena.
In quel periodo, l’Italia era fuori dalla scena internazionale, dal panorama politico ed economico, ma conservava il suo primato culturale, al punto da dettare legge sempre e comunque all’interno dei principali teatri europei. Perciò non c’è da stupirsi che fossero molti i poeti e gli intellettuali italiani a collaborare con i grandi compositori internazionali. L’incontro tra Mozart e Da Ponte avvenne, per esempio, a casa del barone Wetzlar e il compositore rimase stupito dal suo futuro librettista. Percepì che fosse dotato di un grande talento e gli propose la scrittura de Le nozze di Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. Naturalmente, non si sbagliò sul suo conto: il 27 aprile 1784 andò in scena a Parigi e fu un successo assoluto.
Al punto che fu lo stesso Lorenzo Da Ponte a proporre a Mozart il Don Giovanni, che sarebbe andato in scena a Vienna, il 28 ottobre del 1787. E qui il librettista – il cui vero nome fu Emanuele Conegliano, poi cambiato in Lorenzo Da Ponte in onore del vescovo che lo battezzò – lavorò strenuamente per completare in contemporanea ben tre libretti, tra cui quello per Mozart. Così scrisse in una lettera a Giuseppe II, che aveva asserito che non ce l’avrebbe mai fatta: «Forse che no, ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozart e farò conto di leggere l’Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martín (per cui doveva scrivere L’arbore di Diana) e mi parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri (l’Axur, Re d’Ormus), e sarà il mio Tasso».
Si legge nelle sue memorie, circa la composizione del libretto mozartiano, che Da Ponte tornò a casa e si mise a scrivere per dodici ore di fila, «una bottiglietta di “tockai” a destra, il calamaio nel mezzo, e una scatola di tabacco di Siviglia a sinistra». E mentre scriveva, non rinunciava a qualche avventuretta, che poi fu costretto a razionare per lo scarso tempo a disposizione. «Una bella giovinetta di sedici anni (ch’io avrei voluto non amare che come figlia, ma…) stava in casa con sua madre, c’aveva la cura della famiglia, e venia nella mia camera a suono di campanello, che per verità io suonava assai spesso, e singolarmente quando mi pareva che l’estro cominciasse a raffreddarsi: ella mi portava or un biscottino, or una tazza di caffè, or niente altro che il suo bel viso, sempre gaio, sempre ridente e fatto appunto per ispirare l’estro poetico e le idee spiritose… alla corte, queste fanciulla fu la mia Calliope per quelle tre opere, e lo fu poscia per tutti i versi che scrissi per l’intero corso di altri sei anni».
Naturalmente, questa ragazzina fu una delle tante che resero famoso Da Ponte tra i contemporanei, che ancora prima era riuscito a farsi arrestare anche tre volte al giorno per quelli che erano a tutti gli effetti atti osceni in luogo pubblico, in cui spesso era coinvolta una delle sue cameriere. Un personaggio, quello del Don Giovanni, che gli calzava a pennello. E forse fu questa la ragione di tutto il successo che ne seguì, anche se non immediato.
L’opera lirica andò in scena, ma non entusiasmò il pubblico. L’imperatore l’aveva trovata divina, addirittura più bella del capolavoro di Gioacchino Rossini Il barbiere di Siviglia, ma non adatta ai denti viennesi. Però Mozart non si abbatté, perché aveva piena fiducia nella sua opera: «Lasciam loro tempo per masticarlo». E Da Ponte, quel Don Giovanni italiano – che, difatti, subito dopo la scrittura di Così fan tutte, smise di collaborare con il compositore per inseguire qualche donzella – concluse: «Mozart non s’ingannò… a poco a poco anche i signori viennesi da’ mali denti ne gustaron il sapore e ne intesero la bellezza, e posero il Don Giovanni tra le più belle opere che su alcun teatro drammatico si rappresentassero».

Adele Porzia
Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.