LetteraturaPrimo PianoL’incredibile vicenda editoriale del romanzo “Suite francese” di Irène Némirovsky

Lucia Cambria15 Febbraio 2021
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È il 1942 e due bambine, Denise ed Elisabeth, hanno perso entrambi i genitori, rimasti vittime nel campo di concentramento di Auschwitz, la mamma ad agosto e il papà a novembre. Le sorelline rimangono allora con la tutrice, che toltagli la stella gialla dai vestiti, le porta clandestinamente attraverso la Francia e le nasconde in un convento e poi in diverse cantine nella regione di Bordeaux. Durante questa fuga, la tutrice e le bambine portano sempre una valigia piena di fotografie, di documenti e di un quaderno che contiene l’ultimo manoscritto della madre, una scrittrice. Denise non aveva mai osato gettare lo sguardo dentro quel quaderno: l’inchiostro che su quella carta formava parole scritte nella maniera più stretta possibile per risparmiare spazio, ridestava nella ragazzina il grande dolore della perdita. Passano quindi gli anni senza che nessuno metta mai mano e occhio su quelle parole.

Elisabeth diviene da adulta dirigente editoriale e decide, con la sorella, di affidare quel manoscritto all’Institut Mémoire de l’Édition Contemporaine: quelle minuscole parole vengono decifrate con l’aiuto di una lente di ingrandimento e vengono trascritte. Ciò che ne viene fuori non è, come avevano creduto le due sorelle, un diario, ma un’opera letteraria, un romanzo che racconta la seconda guerra mondiale dalla prospettiva dei francesi: un affresco dettagliato dello scenario delle città durante l’occupazione nazista, con case abbandonate, morte e desolazione. È il 2004 e quel romanzo, per decenni nascosto in un manoscritto dentro una valigia, viene finalmente pubblicato: il suo titolo è Suite francese e la sua autrice è Irène Némirovsky.

Nata nel 1903 a Kiev in una famiglia ebrea, Irène Némirovsky era stata affidata alle cure della governante, dalla quale aveva imparato il francese, lingua che avrebbe poi utilizzato per scrivere. La scrittura era per la Némiroxsky un atto solenne, da attuare seguendo una particolare ed elaborata tecnica che consisteva nell’appuntare tutte le riflessioni sotto forma di un flusso libero, senza cancellature. I suoi quaderni contenevano descrizioni dettagliate del carattere, della fisionomia e della vita dei suoi personaggi: dallo studio dei soggetti sorgeva la storia da raccontare.

La famiglia si trasferisce in Francia e qui la scrittrice incontra Michail Epstein, che nel 1926 diverrà suo marito: nel 1929 nasce Denise e otto anni dopo Elisabeth. Dopo lo statuto del 3 ottobre del 1940, che stabilisce per gli ebrei una condizione di inferiorità sociale e giuridica, Michail non può più lavorare alla Banque des Pays du Nord e Iréne non può più pubblicare i suoi libri. Così tra il 1940 e il 1942 le Edizioni Albin Michel e il direttore del giornale Gringoire pubblicano i suoi racconti utilizzando degli pseudonimi. È anche in questo periodo che inizia la stesura di Suite francese, opera rimasta incompiuta: il romanzo avrebbe dovuto essere composto di cinque parti ma ne vennero completate solo due (Tempête en juin e Dolce). Il modello è quello della Quinta sinfonia di Beethoven. La composizione del romanzo è sofferta, piena di tristi presentimenti riguardo al futuro: «Saranno opere postume, temo, ma scrivere fa passare il tempo», scrive all’editore.

I terribili presentimenti divengono realtà: il 13 luglio 1942 la scrittrice viene arrestata e internata nel campo di concentramento di Pithiviers; il giorno dopo è trasferita ad Auschwitz, dove viene uccisa il 17 agosto. La stessa sorte toccherà al marito pochi mesi dopo.

Nonostante la paura e la consapevolezza della fine imminente, Irène Némirovsky continua a scrivere il libro che, a causa del triste epilogo verificatosi poco dopo, è considerato una sorta di testamento letterario della scrittrice. Ma lo sconforto non giunge mai, prova ne sono questi versi annotati tra i suoi scritti del periodo: «Questa fatica non mi spaventa, ma la meta è lontana e breve il tempo».

La fatica di cui la scrittrice parla non è la stesura del romanzo, ma la consapevolezza di non vederlo mai finito, di non sopravvivere al mondo che verrà dopo quello che è descritto in quelle pagine rimaste poi chiuse in una valigia. Quella carta erosa dal tempo e cosparsa di fioriture ha conservato non solo una delle opere che più testimoniano le vicende della guerra, ma ha anche ibernato quella speranza che mai abbandonò la penna di Irène Némirovsky, la quale ha fino alla fine occupato il proprio tempo a riempire gli angusti spazi di quel quadernino perdendosi nella pineta vicino casa, seduta a gambe piegate sulle foglie umide. Su un terreno imbevuto della pioggia della notte precedente, la Némirovsky ha compiuto il suo ultimo atto di libertà: «Perciò, prima di tutto vivere: Primum vivere. Giorno per giorno. Resistere, attendere, sperare».

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.