LetteraturaPrimo PianoL’incredibile storia dietro la redazione del romanzo “Il giocatore” di Fëdor Dostoevskij

Adele Porzia18 Novembre 2021
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Nel 1821, sono nati tre tra i più grandi geni mai esistiti. Tre scrittori straordinari, che hanno modificato per sempre la letteratura europea, se non mondiale, e che hanno il grande merito di aver introdotto in modi squisitamente diversi la modernità, il progresso, le trasformazioni dell’epoca nella letteratura, senza restare ancorati a un passato idilliaco, come molti dei contemporanei. Ed è incredibile che Paul Verlaine, il più famoso dei poeti maledetti, in una delle sue poesie più belle rimpiangesse le molteplici occasioni perdute e i tanti poeti vissuti prima di lui, scrivendo nell’epilogo che ormai fosse inutile per un poeta continuare a scrivere, perché «tutto è bevuto, tutto è mangiato, più nulla da dire!». Eppure, negli stessi anni, nella stessa città, Charles Baudelaire riusciva a fare l’esatto contrario. E con lui, seppur nell’ambito del romanzo, Gustave Flaubert e Fëdor Dostoevskij. Tre grandissimi geni, nati tutti e tre nel 1821.

Non possiamo che immaginare cosa significasse essere amici di Flaubert ed essere invitati a casa sua per sentir leggere i suoi scritti. O essere stati marinai quella volta in cui Baudelaire volle raggiungere l’India per mare. E chissà come si saranno sentiti i primi lettori di Dostoevskij. Persone certamente fortunatissime, che avevano il gusto di ritenere quello scalmanato scrittore, russo di nascita e di pensiero, un’autentica manna dal cielo. E noi, curiosi discendenti di questa gioviale stirpe, ci ritroviamo in una posizione assai simile, ogni qual volta prendiamo dallo scaffale Il giocatore – un libro poco considerato dai critici, molto più interessati alla filosofia di Delitto e Castigo o de I Fratelli Karamazov – e lo sfogliamo, curiosi.

Prima di leggerlo e di stupirci della sua silenziosa grandezza, è meglio premettere tutta la storia che è legata al genio di chi l’ha scritto. Se Baudelaire ha scritto di treni e ferrovie, di orologi e imbarcazioni, e Flaubert ha dato lezioni di stile e di letteratura ad autori come Franz Kafka o Marcel Proust, Dostoevskij ha compiuto una rivoluzione letteraria, poiché ha reso esistenziale il romanzo, che ha segnato il passaggio dalla pura narrazione ottocentesca alla filosofia letteraria del Novecento.

Eppure, Il giocatore è stato scritto per pura necessità, in un mesetto, fra la scrittura di Delitto e Castigo (a parer suo assai più degno delle sue fatiche e del suo tempo) e il lavoro cui era costretto a dedicarsi, contrariamente ai suoi coetanei francesi. Infatti, Dostoevskij nasce povero, infelice e perseguitato dalla sfortuna. Però con la capacità dei mascalzoni dickensiani di salvarsi sempre in calcio d’angolo. Proprio grazie a questa particolare abilità, fu in grado di evitare la condanna a morte, nel dicembre del 1849, e di mantenere il diritto d’autore sui suoi romanzi che, altrimenti, avrebbero portato il nome dell’editore Fëdor Stellovskij.

Un uomo non poco furbo, che aveva ben compreso la natura di Dostoevskij. Questi, infatti, come Honoré de Balzac, scriveva per vivere e, una volta intascata la ricompensa, se ne andava giocando alla roulette o spendeva tutto in qualche locanda, ritrovandosi con tantissimi creditori alle calcagna. Allora, Stellovskij fece firmare un contratto a Dostoevskij, nel quale – tra le clausole – era riportato che se non avesse consegnato un romanzo di 12 fogli di stampa, corrispondenti a circa 190 pagine, entro il primo novembre 1866, l’editore si sarebbe appropriato di tutte le sue opere.

Erano i primi di ottobre quando, senza soldi e speranze, Dostoevskij si ricordò di quella spiacevole clausola. Gli amici si offrirono di aiutarlo, scrivendo al suo posto la storia, ma il nostro orgoglioso scrittore si oppose: non poteva mettere la firma su roba scritta da altri. La soluzione era trovare una dattilografa che, sotto dettatura, scrivesse. Si dà il caso che questa stenografa, la ventenne Anna Grigor’evna Snitkina, diverrà la sua seconda moglie.

I due si misero a lavorare come pazzi e, non potendo permettersi pause, la ragazza si stabilì a casa del quarantenne. Lui dettava e lei scriveva sulla macchina da scrivere e, mentre lei correggeva o trascriveva qualche pagina, Dostoevskij si dedicava al suo Delitto e Castigo, intanto pubblicato a puntate sul Messaggero Russo, giornale assai in voga a quei tempi. Il giocatore era proprio il misterioso romanzo di 12 fogli di stampa, dettato in fretta e furia, tra una pagina e l’altra di un romanzo più autorevole.

Finirono la sera del 29 ottobre; il 30 Dostoevskij lo rilesse e corresse qua e là, dirigendosi l’indomani a casa di Stellovskij. Eppure, l’editore non era nella sua sontuosa villa, a causa di un viaggio di lavoro. Fëdor si diresse, allora, in casa editrice e nessuno volle accettargli il romanzo, perché non sapevano niente di questa consegna e non volevano prendersi responsabilità. Qualcuno ritiene che avessero avuto delle precise indicazioni dall’editore capo, deciso a tenersi tutti i romanzi del nostro russo preferito. Allora, Dostoevskij lasciò tutto al commissariato di polizia, che provvide a inviare giusto in tempo il pacco all’editore e a lasciare allo scrittore una ricevuta di consegna. Il diritto d’autore era salvo e Anna e Fëdor si sposarono felicemente meno di un anno dopo.

Il successo de Il giocatore fu straordinario e insperato, tanto che vi fu un esponenziale aumento dei giocatori d’azzardo, rapiti dalle prodezze di Aleksej Ivanovic, dal suo amore destabilizzante per l’altezzosa Paolina e da quei fatti autobiografici, inseriti nel romanzo, forse il più rivelatore della personalità di Dostoevskij. Una storia incredibile, legata a una di quelle famiglie nobili sull’orlo del tracollo finanziario, che si aggrappano all’eredità di un’anziana signora che non vuole proprio morire. Una storia piena di ironia, divertente come tutta la corsa che è dietro la sua creazione e che ha, inoltre, uno dei finali più belli della storia della letteratura: un invito alla speranza che tutto da un momento all’altro possa volgere al meglio e che «domani, domani finirà tutto!». Un augurio, lettori, che non può non fare a noi, fortunati posteri, quel disgraziato e immortale Dostoevskij.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.