LetteraturaPrimo PianoL’esaltazione della democrazia ateniese in un passo delle “Storie” di Tucidide: l’Epitaffio di Pericle

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Tucidide, storiografo vissuto nel V secolo a.C., è stato autore di un’opera ineguagliabile, splendida quanto complessa, in cui ha raccontato – anno per anno – le vicende legate alla guerra del Peloponneso, conflitto che vide lo scontro tra Ateniesi e Spartani per circa ventisette anni, dal 431 al 404 a.C. Si potrebbero impiegare fiumi di inchiostro per parlare di Tucidide e dei problemi sorti intorno alla sua figura, ma in questa sede si è preferito concentrarsi su uno dei passi più significativi e noti delle sue Storie.

Nel secondo libro, al termine del resoconto del primo anno di guerra, Tucidide descrive la cerimonia di sepoltura dei primi caduti. Secondo il costume dei padri, le ossa dei soldati vengono esposte in una tenda e i familiari portano le varie offerte ai propri morti. Successivamente, i resti vengono disposti, secondo la tribù di appartenenza, in bare di legno di cipresso. Le stesse bare vengono poi collocate nel cimitero pubblico della città, sito nel sobborgo più bello. Al termine di questo rituale, estremamente impattante dal punto di vista emotivo, Pericle – figlio di Santippo, celeberrimo stratego – prende la parola, per elogiare le gesta dei suoi concittadini e glorificare l’intera città di Atene. Ha inizio, a partire dal trentacinquesimo capitolo, un’orazione funebre densa e ricca di “pathos”, contenente interessanti spunti di riflessione sulla forma di governo ateniese e su un uomo politico controverso. Il discorso si estende per undici capitoli e si prefigge l’obiettivo di lodare i caduti, confortare i familiari per le perdite subite e, soprattutto, esortare la popolazione a prendere atto della grandezza di Atene, che affonda le sue radici in un passato di fama ineguagliabile.

Viene quindi instaurato un parallelismo tra le imprese degli avi e dei padri, celebrati per aver procurato alla città nuovi territori e averne difeso i confini dagli stranieri e da altri greci, e le imprese dei figli, contemporanei a Pericle, che hanno saputo difendere l’eredità ricevuta e hanno abilmente implementato i possedimenti, costruendo un impero stabile e temibile. Il discorso si configura, quindi, come un vero e proprio manifesto della politica periclea che, attraverso un linguaggio enfatico, osanna la costituzione ateniese, la potenza imperialista della principale città dell’Attica e lo stile di vita, nonché l’educazione, dei cittadini. La costituzione di Atene viene definita come superiore a tutte le altre, poiché l’unica in grado di garantire i diritti civili alla maggioranza della popolazione. Viene assicurata, infatti, uguaglianza di fronte alle leggi per quanto riguarda gli interessi privati, mentre, nell’ambito della considerazione pubblica nell’amministrazione dello stato, si preferiscono politici che svettino in un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale elevata, ma per il proprio valore. Ne consegue che non è preclusa la strada politica a chi si trovi in uno stato di povertà.

Una tale impalcatura statale, nell’ottica di Pericle, trova riscontro in una grande efficienza militare, per terra e per mare. È possibile leggere un implicito e neppur troppo velato confronto con Sparta, su cui viene rivendicata una forte superiorità. Dopo queste premesse di tipo puramente costituzionale, nel secondo paragrafo del trentasettesimo capitolo, Pericle esalta la libertà di cui godono gli ateniesi. Esso è un pilastro fondamentale nei rapporti con lo stato e nei rapporti con i privati. Come sottolineato dal grande storico Domenico Musti, la novità della politica periclea consistette nell’armonizzare la sfera privata con quella pubblica, intrecciando le due componenti, affinchè l’una non prevalesse sull’altra. La democrazia, infatti, consente la libera espressione della dimensione privata nei limiti delle leggi, che tutelano la comunità in senso lato e, di riflesso, il privato stesso. Nel trentottesimo capitolo, Pericle si sofferma sulle tante occasioni di riposo e formazione per i cittadini ateniesi, che trovano il loro culmine negli agoni, nei sacrifici e nel godimento nelle case private, ricche di raffinate suppellettili. Pericle pone l’accento sull’aspetto strettamente culturale del suo programma, volto a fornire effettive occasioni di educazione ai cittadini ma, allo stesso tempo, indirizzato alla celebrazione del leader. In questo contesto, si inserisce la critica alle rigidissime tecniche di addestramento spartane, considerate non necessarie di fronte all’attitudine rilassata e priva di costrizioni degli ateniesi. L’esaltazione dell’ordinamento di Atene prosegue con uno splendido riferimento all’amore del bello e del sapere e con l’elogio della partecipazione alla vita pubblica, che viene di gran lunga preferita all’ignoranza degli avvenimenti riguardanti la “polis”. Atene si rende, attraverso le parole di Pericle, «scuola della Grecia», facendosi paradigma e modello superiore perfino alla sua stessa fama.

In chiusura di discorso, Pericle encomia il sacrificio dei caduti, descritti con toni trionfalistici alla fine di un elogio di Atene certamente funzionale al rinvigorimento dell’immagine dell’operato pericleo e all’esortazione dei figli, dei fratelli e delle vedove. Il cerimoniale delle esequie pubbliche, totalmente finanziato dallo stato, rappresenta la giusta occasione per far presa sul popolo in un momento delicato della guerra e ancorarlo alla grandezza di un uomo che si identifica in toto con una città che porta il suo segno.

Anita Malagrinò Mustica

Nata a Venezia, ma costantemente in viaggio per passione e lavoro, studia Lettere Classiche a Bari. Sognando di poter dedicare la sua vita alla ricerca e all’insegnamento, ha collaborato e collabora con varie realtà editoriali, scrivendo per diverse riviste di divulgazione scientifica e culturale. Appassionata di teatro e di poesia, porta avanti numerosi progetti performativi che uniscono i due ambiti.