ArtePrimo PianoL’economia animale nel Veneto dell’Età del Bronzo

Alice Massarenti5 Marzo 2021
https://lacittaimmaginaria.com/wp-content/uploads/2021/03/efefdefsdsw.jpg

Durante l’Età del Bronzo nell’Italia settentrionale si notano economie di sussistenza basate sulla pastorizia. In particolare, due siti della pianura a nord del Po forniscono interessanti informazioni. Il sito di Fondo Paviani, presso Legnago (Verona), si trova su un dosso alluvionale nella paleovalle del Menago. Dall’Età del Bronzo Recente/Finale provengono 3.681 resti faunistici, di cui solo una bassa percentuale sono risultati determinabili, sia a causa dello stato di conservazione (molto frammentario) che ai metodi di raccolta (che hanno permesso di individuare anche i frammenti più piccoli).

La maggior parte dei resti provengono da animali domestici (come bovini, suini e caprovini); sono però presenti in piccola percentuale alcuni animali selvatici (come cinghiali, cervi, caprioli, lepri, uccelli e tartarughe lacustri). Sui resti dei bovini sono state effettuate analisi specifiche per valutare l’età di macellazione ed è risultato che oltre il 30% erano adulti, utilizzati quindi come forza lavoro, per trainare carri o dissodare terreni, per i prodotti derivati come il latte e per la riproduzione. Circa il 17% degli animali era stato ucciso nei primi 18 mesi, probabilmente per ottenere i tagli di carne migliore e i restanti avevano alla macellazione tra i 2 e i 4 anni. Le analisi sulla dentatura mostrano che circa un terzo del gregge veniva abbattuto nel primo anno di vita. Seguendo questa ipotesi, la popolazione non utilizzava i caprovini per il latte, quanto piuttosto per la carne e per la lana. Il fatto poi che molti animali venissero abbattuti dopo il terzo anno di vita supporta l’idea che fossero usati per la riproduzione, anche se purtroppo l’analisi dentale non consente di distinguere i maschi dalle femmine.

Si è potuto stabilire che venivano allevate in maggior numero le pecore. I suini venivano allevati per la produzione di carne, con un’età di macellazione entro il primo anno di vita per la metà degli animali. I resti di suini non erano però abbondanti, quindi anche la stima fatta degli individui non rappresenta appieno la situazione del sito. Erano presenti anche cavalli, asini e ibridi delle due specie. Un dato interessante proviene dai reperti osteologici di cane: il consumo alimentare di questo animale è attestato in pochi contesti dell’Età del Bronzo, in questo caso i segni di combustione o calcinatura mostrano chiaramente che la carne era stata cotta. Il cervo è presente con pochi resti, per la maggior parte costituiti da palchi. Questo dato prova l’interesse verso la lavorazione del materiale ma non dimostra che fosse una preda abituale, in quanto è piuttosto facile reperire i palchi caduti spontaneamente nella foresta. Il vicino lago permetteva anche di praticare la pesca: infatti, sono stati ritrovati tra i resti ossa di luccio e altri Ciprinidi.

Ipotesi di ricostruzione dell’insediamento di Frattesina

Molto simile risulta l’insediamento di Frattesina: si trova a sud-est di Fratta Polesine (Rovigo) ed è posto sulla riva meridionale di un antico corso d’acqua detto Po di Adria, un ramo del Po che scorreva a 15 chilometri a nord del fiume attuale. Il sito è composto da una serie di insediamenti che coprono un arco cronologico che va dal Bronzo finale all’inizio dell’Età del Ferro. I resti ossei animali ritrovati sono 2.433 e appartengono alle specie domestiche di bovini, suini e caprovini. Qui sono presenti per la maggior parte suini, seguiti dai bovini. I caprovini presenti nelle greggi sono in maggioranza pecore e dalle analisi di ossa e denti sembrano essere stati allevati per la carne. Gli animali selvatici sono in maggioranza cervi e cinghiali, seguono poi i caprioli e i castori. Anche in questo sito si vedono numerosi palchi di cervo utilizzati per la lavorazione e la produzione di strumenti. La caccia, quindi, costituiva un elemento essenziale per la dieta degli abitanti, fornendo inoltre pelliccia proveniente da volpi, lupi, castori e orsi.

I pesci pescati sono in particolare Esocidi e Ciprinidi, mentre poche sono le anguille e gli storioni. L’acqua del fiume in quel tratto doveva essere lenta, torbida e ricca di vegetazione, come spesso si presenta vicino alla foce. Sono molto particolari i resti di lucci e tinche di grandi dimensioni, dato che ha fatto immaginare un sistema di pesca particolarmente efficace per gli esemplari di grossa taglia. L’ambiente acquatico è diverso da quello lacustre, in quanto nella zona si erano formati rami secchi e barene che forse facilitavano la pesca e la rendevano un’attività economica più redditizia che in altri siti. Sono stati rinvenuti anche testuggini palustri, anatidi, lontre e castori.

Dall’analisi di questi due abitati si può vedere come l’allevamento suino cresca di importanza soprattutto a Frattesina, dove la percentuale di resti di maiale fa registrare un aumento significativo dal Bronzo Finale all’Età del Ferro, preannunciando quello che sarà l’indirizzo delle pratiche di allevamento della Bassa Pianura nelle epoche successive. L’attività venatoria non incide molto nell’economia di sussistenza, anche se l’orso ritrovato a Frattesina – originario di altre zone – doveva essere frutto di scambi mercantili, come altri materiali esotici ritrovati nel sito (quali le uova di struzzo o l’avorio lavorato).

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.