LetteraturaPrimo PianoLe (poche) similarità e le (molte) differenze tra la fiaba e la favola

Adele Porzia24 Giugno 2021
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Solitamente, nel linguaggio parlato, capita che vengano usate le parole “fiaba” e “favola” come sinonimi, considerandole implicitamente la stessa cosa e percependole come interscambiabili: semplicemente un modo diverso per dire la stessa cosa. Eppure, considerarle simili o addirittura identiche è un grandissimo errore, perché parlando di favola e di fiaba ci si riferisce a tipi di narrazione marcatamente diversi, quasi agli antipodi.

Sicuramente la loro origine è simile, perché il popolo è il grande fautore delle fiabe e delle favole, ma queste ultime sono state sin da subito messe in forma scritta e reinventate da poeti e aristocratici al fine di fornire un insegnamento. Esopo e Fedro, per indicare alcuni dei più antichi, hanno trascritto alcune favole e ne hanno inventate altre, per dare delle grandi lezioni di vita a chi si ritrovasse a leggerle. E non si trattava semplicemente di un impegnativo esercizio di lettura. Piuttosto, era necessario scrutare tra le righe per comprendere il vero senso delle parole e delle situazioni nelle quali ci si era imbattuti. In una favola, innanzitutto, ci sono gli animali (o almeno nella maggior parte delle favole, e comunque nelle più famose). Essi rappresentano delle caratteristiche o dei vizi umani: il lupo sarà la forza, la prepotenza; il leone, la potenza, la superbia; la volpe, invece, l’astuzia; l’agnellino sarà l’ingenuità o la codardia. E ve ne possono essere tanti di animali e ognuno con un significato che cambia di volta in volta, a seconda della narrazione. L’obiettivo di questa forma narrativa, sempre rigorosamente breve, è quello di fornire una morale, un insegnamento. Nella favola del lupo e dell’agnello, l’insegnamento è di non fidarsi degli sconosciuti e di non farsi manovrare dalle parole altrui. In altri casi, vedremo l’astuzia trionfare sulla forza; altrimenti, impareremo che a volte essere gentili non ripaga. Altre volte, invece, la favola in questione ci vorrà dire l’esatto contrario, e così via. Il lettore deve essere bravo a decodificarne il linguaggio, perché la metafora può essere un ottimo modo per rivelare verità scomode, che magari lo scrittore non può riferire direttamente, pena la sua stessa vita.

La fiaba è tutt’altra cosa. Innanzitutto, è lunga – a volte lunghissima – e non è detto che finisca bene. Nella versione originale dell’opera di Hans Christian Andersen La sirenetta, Ariel non sposava il principe e moriva miseramente. Oppure ancora, nella versione originale francese, scritta da Charles Perrault, Cappuccetto Rosso veniva divorata dal lupo. Adesso, si è soliti dare loro un finale diverso, perché questi racconti fantastici – dall’origine squisitamente popolare – sono destinati a un pubblico di bambini, grazie al colosso della Disney, ragione per la quale il lieto fine diventa d’obbligo. E, cambiando il pubblico, molte storie dal sapore tragico sono state considerevolmente mutate, e il finale totalmente trasformato. Comunque, anche nella fiaba troviamo animali (reali e inventati), maghi, streghe, fate, principesse, principi, stregoni, luoghi incantati, regni lontani, regine e re, servi e serve, incantesimi, pozioni, scettri, spade, anelli magici, e tanto altro. Nella fiaba si conservano gli elementi di un popolo, perché si tratta di narrazioni antiche, raccontate e tramandate di generazione in generazione, ogni qual volta con versioni diverse e diversi personaggi, a seconda del luogo in cui ci si sposta. Paesi costieri avranno, per esempio, fiabe ambientate sul mare, principesse minacciate da mostri marini, regni fatati in attesa di un pio sovrano che li amministri e li salvi. In altri casi, avremo poverelli che si scoprono re e delicate donzelle, coraggiose e forti, di cui un principe non può non innamorarsi. Storie infinite, piene di amori e castelli, dove tutto è possibile. L’unico freno? La fantasia di chi le racconta. Non è un caso che prima si usava stringersi intorno a un fuoco e raccontare vecchie storie che, oltre a essere belle e piene di folklore, avevano un insegnamento da impartire.

La più grande somiglianza tra favola e fiaba risiede proprio nell’insegnamento, ma mentre nel primo caso la morale è palese, nel secondo bisogna ricavarla. Al temine della favola, infatti, troviamo delle forme di chiusura standard: «la morale è…», «questa favola vuol insegnare che…»; questo perché l’enfasi è posta proprio sulla morale, più che sulla storia in sé. Si tratta, infatti, di racconti brevi, molto incisivi. Invece, la fiaba richiede tempo, come un racconto seriale che si ascolta, un racconto che fa sognare, sospirare, attendere: un romanzo tutto a voce.

Come scrive Vladimir Propp, grande studioso, linguista e antropologo russo, «favole e fiabe hanno sostanza comune, ma ognuna alla sua maniera. La loro relazione non è di anteriore a posteriore, ma è piuttosto una relazione di complementarità». Probabilmente, la favola e la fiaba avevano un’origine comune, prima che l’una e l’altra prendessero strade separate, ma ormai sono tanto diverse tra loro e hanno avuto destini così divergenti che è davvero difficile capirlo. E forse è proprio questo il bello. Quell’alone di mistero che ci fa stupire ogni volta della segreta bellezza di ogni racconto.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.