Il giacimento di Grotta del Romito (Cosenza) ha restituito un interessante repertorio di sottostrutture, intese come impianti in negativo che non contemplano un elevato, riferibili alla fine dell’ultimo Pleniglaciale e al Tardoglaciale, che offrono uno spunto per la ricostruzione dei modi di vita dei cacciatori-raccoglitori della fine del Paleolitico nell’Italia Meridionale.
I primi esploratori misero in luce un deposito relativo a una lunga fase di abitazione nella caverna durante l’Epigravettiano; inoltre all’esterno della grotta era presente uno spazio all’aperto, protetto dall’aggetto della parete rocciosa, che costituiva il Riparo. L’area del Riparo contiene solo una parte della sequenza abitativa messa in luce nella grotta, in cui sono presenti tracce che vanno dal periodo Epigravettiano al Gravettiano evoluto, cioè una frequentazione che parte da 24.000 fino a 11.000 anni fa circa.
Nel corso degli scavi sono emerse sei strutture: in cinque casi si trattava di sottostrutture infossate, mentre in un caso si trattava di una massicciata artificiale che conteneva al suo interno uno spazio chiuso costruito con blocchi calcarei e destinato alla custodia di oggetti.

La struttura 1 del piano di frequentazione C1 è una piccola fossa profonda 20 centimetri, di forma rettangolare, riempita da ossa e carboni, la cui imboccatura era delimitata da piccole pietre. I reperti ossei erano costituiti da schegge di piccole dimensioni, frutto di macellazione ed estrazione di midollo, e alcuni frammenti determinabili tra cui cinghiale, cervo, capriolo, stambecco, camoscio, volpe e gatto selvatico. Oltre alla macrofauna sono stati rinvenuti più di un centinaio di strumenti litici, diverse conchiglie forate, un canino atrofico forato di cervo decorato con piccole tacche parallele, un punteruolo in osso e schegge in diaspro. Le analisi polliniche per questo strato hanno rivelato che l’ambiente era dominato da foresta decidua in associazione con prati aperti dominati da specie adatti ad aree aride e assolate.

La struttura 1 dell’orizzonte D1 è un’ampia struttura di combustione, collocata a ridosso della parete rocciosa vicino al focolare, di profondità massima di 15 centimetri, con terreno concotto alla base, cenere sui margini laterali, riempita con resti faunistici e industria litica. I reperti ossei mostrano lo stesso record individuato nel precedente orizzonte, con l’aggiunta dell’Uro. L’industria litica è composta da 206 manufatti non ritoccati, nuclei, scarti e strumenti, punteruoli, conchiglie forate e un grande grumo ocraceo di colore rosso brillante, molto compatto. Era infine presente una lastra calcarea quadrangolare forata sul fondo della fossa.

La struttura 1 dell’orizzonte D2 si trova accanto alla struttura 1 del soprastante orizzonte D1 ed è una fossa con imboccatura circolare e pareti oblique, riempita con terreno bruno-grigiastro, alcuni frammenti ossei e industria litica. Anche in questa struttura era stato inserito sul fondo un blocco calcareo a parallelepipedo, posto in obliquo lungo il margine Nord, leggermente infossato sul fondo. La prima struttura dell’orizzonte D19A è una fossa ovoidale allungata a imboccatura irregolare, di 1,60 metri di lunghezza massima e una profondità di circa 20 centimetri, riempita di terreno bruno con blocchi calcarei, pochi reperti faunistici e manufatti litici. Alla sommità del riempimento si trovavano cinque blocchi calcarei che potevano costituire un segnacolo, in quanto poco al di sotto era deposto un palco palmato e una calotta di cervo che presenta i segni di una lunga esposizione prima della sepoltura. Un altro indizio della funzione cultuale sono le tracce annerite sul palco, come se una piccola fiamma fosse stata avvicinata al palco per tutta la sua lunghezza. La particolarità del reperto è dovuta inoltre al fatto che in natura il cervo nobile solitamente non ha palmatura; esistono però rare tracce di un morfotipo di “Cervus elaphus” con palchi palmati in alcune località italiane del tardo Pleistocene superiore.
La seconda struttura è una fossetta a imboccatura circolare, profonda 13 centimetri e con pareti inclinate, situata a circa un metro dalla struttura 1 e a ridosso di una chiazza di cenere. Il riempimento era costituito da frammenti ossei, pietrisco e scarsa industria litica, ma è interessante notare come dall’imboccatura siano emerse cinque piccole pietre calcaree disposte secondo un ordine stabilito.

L’orizzonte F1 mostra la prima fase di ingresso dell’uomo nella grotta, circa 24.000 anni fa, dopo il prosciugamento di un corso d’acqua presente nella caverna che ne impediva la frequentazione. Era presente una pavimentazione artificiale, forse di carattere rituale, composta da clasti calcarei a spigoli smussati, selezionati per dimensioni, posti orizzontalmente e in perfetta connessione tra di loro senza spazi vuoti. Era ricoperta da un esiguo spessore di limi e al di sopra erano presenti una calotta di cervo, una grande scapola, l’epifisi distale di un femore e una piccola scapola. Oltre a questi reperti ossei si trovava un solo bulino, che prova ancora una volta il carattere rituale di questa struttura.

Alice Massarenti
Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.