ArtePrimo PianoLe statue-stele nell’Età del Rame

Alice Massarenti7 Agosto 2020
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Nel corso dell’età del Rame, fra la fine del IV e per quasi tutto il III millennio (3.300 – 2.200 a.C.), gran parte del continente europeo riflette un nuovo assetto economico, sociale e ideologico. La scoperta e l’utilizzo del rame si accompagna da un lato a una serie di innovazioni tecnologiche di fondamentale importanza – quali l’introduzione dell’aratro, del carro, del giogo per gli animali – e dall’altro a cambiamenti socio-economici assai rilevanti, come lo sviluppo di un artigianato specializzato e l’instaurarsi di vasti scambi commerciali. Gli oggetti in selce non scompaiono con l’introduzione del metallo ma anzi in certi casi si raffinano, soprattutto all’interno di quei gruppi dove il rame non viene reperito con facilità e non è quindi molto utilizzato.

Fra i reperti litici in selce più frequentemente rinvenuti vi sono le cuspidi di freccia, le asce e i pugnali. Le necropoli in particolare mostrano una più marcata articolazione rispetto al Neolitico, con la compresenza di sepolture plurime e singole, a seconda delle aree geografiche entro grotte o ripari, in semplici fosse scavate nel terreno o di nuovo all’interno di strutture megalitiche, e una maggiore differenziazione dei corredi di uomini e donne. Questa disparità, che risulta particolarmente evidente nelle culture dell’Europa orientale dove si è già manifestata una precoce fase di pre-urbanizzazione, unita all’evidente insorgere di una parziale forma di specializzazione dell’artigianato e alla presenza presso alcuni abitati di edifici “differenziati”, forse dimora di capi o ambienti a uso cultuale, potrebbe in effetti rispecchiare una progressiva articolazione del tessuto sociale in atto all’interno delle comunità.

Sul piano iconografico si diffonde, in parte sulla scorta di tradizioni precedenti che già utilizzavano imponenti pietre erette (dolmen, menhir, cromlech), l’usanza di innalzare grandi monoliti lavorati in modo da assumere fattezze antropomorfe. Questi monumenti, che prendono il nome di statue-stele o statue-menhir in base alle caratteristiche morfologiche del supporto (tridimensionalità più o meno accentuata, antropomorfismo), si rinvengono solitamente in luoghi identificabili come “centri cerimoniali” o “centri cultuali”, dove ulteriori evidenze archeologiche (materiale ceramico, tombe, altre strutture in pietra) confermano lo svolgimento di attività di tipo simbolico, legate appunto al culto e alla religiosità.

Le statue-stele non venivano quasi mai infisse nel terreno singolarmente ma piuttosto in gruppi numerosi, generalmente allineate in lunghe file o semicerchi e rivolte nella medesima direzione. Spesso i monumenti di uno stesso luogo mostrano dimensioni, caratteristiche e attributi molto differenti fra di loro. Tuttavia in tutti i siti europei ricorrono due tipologie ben riconoscibili di statue-stele, l’una caratterizzata da figure di armi – soprattutto pugnali ma anche asce, archi, frecce e alabarde – e l’altra contrassegnata dalla presenza sul petto di seni stilizzati e dal ripetersi di vari elementi dell’abbigliamento (collari, mantelli, monili). In misura minore si rinvengono anche statue-stele prive di specifiche caratterizzazioni sessuali o attributi particolari.

Mentre l’approssimarsi a fattezze più o meno umane varia da luogo a luogo e, quando presente, si concretizza spesso nella stilizzazione della testa o del volto, con in alcuni casi l’aggiunta delle braccia (per es. ad Aosta e in Lunigiana) e, più raramente delle gambe (per es. in Francia meridionale), la presenza di statue-stele maschili (riconoscibili per le armi) e femminili (riconoscibili per i seni) è più o meno ovunque costante. In Italia la si ritrova in Trentino Alto Adige, in Valcamonica e Valtellina, ad Aosta (e anche nel sito “gemello” di Sion in Svizzera), in Lunigiana (fra Toscana e Liguria), in Sardegna e in Puglia. In Europa siti con elevate concentrazioni di statue-stele e analoghe caratteristiche sono stati rinvenuti nel sud della Francia, nella Penisola Iberica, in Germania, in Tessaglia e sull’isola di Taso (Grecia), nella zona pontica a nord del Mar Nero. Dove forte è il legame con strutture funerarie, come ad Aosta e a Sion, si è parlato di effigi di antenati forse divinizzati, mentre dove questi elementi mancano si è invece prospettata l’ipotesi che si tratti di immagini di divinità vere e proprie oppure di elementi speciali all’interno di centri cerimoniali che contrassegnano una nuova organizzazione del territorio.

Il complesso camuno-tellino mostra un linguaggio figurativo decisamente più articolato, caratterizzato in primo luogo dalla generale perdita della forma umana e in secondo luogo dalla preferenza per massi, talvolta di forma anche piuttosto irregolare, decorati su uno o più lati con numerose figure incise. La Valcamonica e la Valtellina hanno finora restituito oltre un centinaio di monumenti (considerati anche i frammenti), mostrandosi come uno dei maggiori complessi in Europa. Nel sito di Campolungo (Cedegolo) si trovano alcune stele che presentano praticamente tutti quei caratteri che differenziano il gruppo camunotellino dagli altri insiemi italiani ed europei: la presenza del disco solare quasi in sostituzione del volto, l’insistenza sugli animali, il tema degli antropomorfi allineati, i grandi motivi a “U”,  il pendaglio a occhiale, i pugnali e le linee parallele, il disco solare in forma di palco di corna cervine.

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.