La Basilica patriarcale di Santa Maria Maggiore è, come dice il nome stesso, la più importante – e probabilmente anche la prima – chiesa romana dedicata alla Vergine. Di fronte alla facciata svetta la colossale colonna corinzia scanalata di marmo imezio alta 14,3 metri proveniente dalla Basilica di Massenzio, che Paolo V fece qui posizionare da Carlo Maderno nel 1614 a pendant dell’obelisco sistino al lato opposto di via Merulana, di cui si è già parlato nell’articolo precedente. Ben più piccolo rispetto a quest’ultimo è l’Obelisco Esquilino: posto alle spalle della Basilica di Santa Maria Maggiore, un tempo ornava l’ingresso del Mausoleo di Augusto facendo coppia con quello che oggi si trova al Quirinale. Realizzato probabilmente all’epoca di Domiziano ad imitazione degli obelischi egizi, è tuttavia privo di geroglifici, infatti si presenta come un monolite liscio. Fu eretto nella posizione attuale nel 1587 per ordine di papa Sisto V e ad opera di Domenico Fontana.
La Basilica domina la città di Roma da circa sedici secoli, infatti – secondo la leggenda – venne fondata da Papa Liberio il 5 agosto 356 nel luogo in cui si verificò una miracolosa nevicata; da quel momento in poi, ogni anno e nello stesso giorno, tale evento viene rievocato attraverso una solenne Celebrazione durante la quale si ricrea artificialmente la neve, da cui derivano altresì le denominazioni di “Basilica Liberiana” e di “Santa Maria ad Nives”. Sembra che la costruzione attuale non sia anteriore a Sisto III (Pontefice dal 432 al 440), il quale la dedicò alla maternità divina di Maria definita dal concilio di Efeso del 431. Gli scavi del 1966-71 hanno portato alla luce i resti di un complesso, di età augustea o ancora più antico, che venne in gran parte ricostruito in epoca adrianea e costantiniana e sul quale si imposta la Basilica attuale.
Alla Basilica del V secolo – a tre navate senza transetto, con abside centrale e nartece, e coperta a capriate – Niccolò V ricostruì più arretrata l’abside, creando un transetto che venne decorato da affreschi (a tale intervento risalgono altresì i mosaici dell’abside e della facciata); nella seconda metà del XV secolo il cardinale Guglielmo d’Estouteville aggiunse le volte sulle navi laterali, Alessandro VI il soffitto di quella centrale, mentre nel 1500 vennero create le cappelle. Successivamente, Paolo V costruì il palazzo a destra della facciata (1605), Clemente X fece sistemare esternamente la parte absidale e Clemente XI iniziò la costruzione dell’edificio a sinistra, poi completato con la nuova facciata realizzata da Ferdinando Fuga, il quale restaurò anche l’interno.

E proprio l’interno di Santa Maria Maggiore è l’unico, tra quelli delle Basiliche patriarcali, ad aver conservato un aspetto abbastanza simile a quello originale, sia pure arricchito di aggiunte successive: le maggiori alterazioni sono costituite dalla scelta di oscurare metà delle finestre, dalla ricostruzione arretrata dell’abside e dall’interruzione dei colonnati con le due arcate in corrispondenza delle cappelle Sistina e Paolina; fu l’intervento del Fuga, realizzato tra il 1746 e il 1750, a mascherare le irregolarità e le asimmetrie residue. Il grandioso impianto è suddiviso in tre navate scandite da trentasei colonne monolitiche di marmo dell’Imetto e quattro di granito, con capitelli ionici che sostengono direttamente la trabeazione ornata con un fregio a mosaico risalente al tempo di Sisto III, il quale consta di trentasei riquadri con storie di Mosè e Giosuè a destra e di Abramo, Isacco e Giacobbe a sinistra. Tali riquadri costituiscono un prezioso documento dell’arte del basso Impero, sebbene nel 1593 siano stati interessati da un’invasiva campagna di restauro. Nello stesso anno furono commissionati gli affreschi tardo-manieristi con scene della vita della Vergine che compaiono al di sopra dei mosaici, tra le finestre. Altrettanto degni di nota sono il mosaico dell’Arco trionfale – raffigurante scene della venuta e dell’infanzia di Gesù – risalente ancora una volta all’epoca di Sisto III, come recita l’iscrizione, ed il magnifico mosaico absidale firmato dal frate francescano Jacopo Torriti (1295), realizzato per ordine di papa Niccolò IV (primo pontefice francescano, rimasto in carica dal 1288 al 1292) e raffigurante l’Incoronazione di Maria tra il cardinale Giacomo Colonna e Niccolò IV tra due schiere di angeli e i Santi Giovanni Battista, Iacopo e Antonio e i Santi Pietro, Paolo e Francesco. Sul fondo del mosaico compaiono motivi a girali con colombe e pavoni; al di sotto degli angeli e dei santi, il fiume Giordano con barche e cigni; più in basso, tra le finestre, episodi della vita di Maria del Torriti, mentre all’esterno dell’arco absidale sono stati realizzati, nel 1930, i ventiquattro Seniori dell’Apocalisse. Il pavimento è in parte cosmatesco e risale alla metà del XII secolo, mentre il soffitto a cassettoni, attribuito a Giuliano da Sangallo, è contrassegnato dall’emblema del toro di Alessandro VI e venne dorato, secondo la tradizione, con il primo oro giunto dall’America.

La Basilica conta numerose cappelle, dalla cappella Sforza a quella Cesi, dalla Cappella del Crocifisso a quella quasi scomparsa di San Michele, ma le più importanti e degne di nota sono senz’altro la Cappella Sistina o del Santissimo Sacramento e la Cappella Paolina o Borghese. La prima venne eretta da Domenico Fontana per volere di Sisto V tra il 1584 ed il 1587: a croce greca, con due cappelline laterali ed una grande cupola centrale, è rivestita di marmi provenienti dal Settizodio (ovvero la facciata monumentale di un ninfeo, fatta innalzare dall’imperatore Settimio Severo nel 203 ai piedi del colle Palatino). Venne affrescata sotto la direzione di Cesare Nebbia e Giovanni Guerra tra il 1587 e il 1589, poi restaurata nel 1871.

Situata in corrispondenza della navata sinistra, la Cappella Paolina o Borghese, invece, venne commissionata da Paolo V a Flaminio Ponzio, il quale vi lavorò dal 1605 al 1611. Egli ha ripetuto con maggior sforzo lo schema architettonico adottato dal Fontana per quella opposta (la Sistina) e la composizione dei sepolcri papali. Sia gli affreschi nei pennacchi della cupola (che rappresentano profeti e sibille), sia quelli nel lunettone sopra l’altare (con l’Apparizione della Madonna e di San Giovanni Evangelista a San Gregorio taumaturgo) si devono al Cavalier d’Arpino.

La Basilica è infine divenuta, nel corso dei secoli, uno scrigno che custodisce gelosamente al suo interno elementi di rara bellezza e dall’inestimabile valore storico-artistico. Basti citare la lastra tombale del Bernini, la cosiddetta Sacra Culla (celebre reliquia conservata nella preziosa urna ovale di cristallo e argento realizzata dal Valadier) ed il Presepio del XIII secolo scolpito da Arnolfo di Cambio su commissione di papa Niccolò IV, il quale aveva come obiettivo quello di celebrare il presepe ideato da San Francesco a Greccio: reputato il Presepe più antico della storia, consta di quattro gruppi marmorei costituiti dalla figura della Vergine e del Bambino, San Giuseppe e i tre Magi, l’asino e il bue.

Martina Scavone
Nata a Roma, classe ‘93. Si è laureata all’Università di Roma Tor Vergata: triennale in Beni Culturali e magistrale in Storia dell’Arte. Dopo un Master di II livello in Gestione dei Beni Culturali, ha iniziato a lavorare attivamente come curatrice e storica dell'arte. Ama leggere, viaggiare e l’arte in tutte le sue sfaccettature.