LetteraturaMusicaPrimo PianoTeatro e DanzaLe sorprendenti novità narrative del “Buovo D’Antona” di Carlo Goldoni e Tommaso Traetta

Adele Porzia18 Febbraio 2021
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Qualche anno fa, mentre si attraversava Venezia e ci si perdeva tra le sue calli, capitava spesso di sentire il nome di Tommaso Traetta, un compositore del Settecento, che ha avuto l’insolita quanto rara fortuna di vedersi riconoscere il suo talento in vita. Adesso non tutti lo conoscono, perché non ha assunto la fama popolare di Wolfgang Amadeus Mozart o di Ludwig van Beethoven. Ma, per chi è nato e cresciuto a Bitonto, la sua città natale, è un oltraggio non conoscere il celeberrimo Traetta. La crudele verità è che solo gli specialisti hanno confidenza con il suo nome, molti dei quali neppure italiani. Eppure, si sta tentando da qualche anno di ristabilire la sua antica fama popolare, attraverso molti festival operistici e non, primo tra tutti il “Traetta Opera Festival”.

D’altra parte, per quanto possa sembrare accattivante, in questa sede non si tenterà di riabilitare il buon nome del Traetta (che di certo non ha bisogno del contributo di chi scrive) o di agevolare l’ingresso nei cuori dei suoi posteri, ma si analizzerà da un punto di vista letterario uno dei libretti che ha musicato. Precisamente il suo Buovo D’Antona, redatto da uno scrittore che ci invidia il mondo intero per la profondità e la modernità del suo teatro e per i livelli di comicità che è riuscito a raggiungere. Si parla, naturalmente, di Carlo Goldoni, che si è occupato anche di altri due libretti, per conto del compositore: Il cavaliere errante e Le serve rivali.

Protagonista della commedia (in musica) è proprio Buovo d’Antona, un cavaliere che non ha goduto della stessa fama di altri celeberrimi paladini, come Orlando e Rinaldo. Eppure, questi veniva cantato nelle “chanson” anglo-normanne e, sebbene non abbia avuto una gran fortuna letteraria, è sopravvissuto nella memoria popolare, grazie alla raccolta dei Reali di Francia di Andrea Barberino, un autore italiano del Quattrocento. Il quarto libro è, infatti, interamente dedicato al cavaliere e Goldoni riprende e rielabora una storia abbastanza conosciuta. Ma, contrariamente all’epoca, non la riempie di quei personaggi “volgarotti” che fanno ridere il pubblico o dei soliti ruoli fissi dell’opera buffa: si tratta di persone comuni, prese dalla quotidianità, alle prese con un sentimento che era ben presente nella sua epoca, e cioè quel desiderio di riscatto che serpeggiava e impreziosiva quelle vite che, fino a poco tempo prima, parevano già scritte. Ma, innanzitutto, la trama.

Il povero Buovo è stato cacciato da Antona, insieme al suo fedele scudiero Striglia, perché il malvagio Maccabruno l’ha defraudato del regno e della bellissima Drusiana, amata da entrambi. Maccabruno, per quanto sia malvagio, è realmente innamorato di Drusiana e, allora, cerca di farsi strappare una promessa di matrimonio. Drusiana, vista l’insistenza, gli promette che lo sposerà solo se Buovo non sarà di ritorno per tre anni. Naturalmente, l’opera si apre con il ritorno del cavaliere e dello scudiero, travestiti da poveri pellegrini, che subitamente vengono intercettati da Menichina e Cecchina, due umili fanciulle innamorate dell’uno e dell’altro. Cecchina e Striglia subito si innamorano, perché della medesima classe sociale, ma è diverso per Menichina che è di rango inferiore. Eppure, la ragazza si fa promettere da Buovo di sposarla e questi giura che, se Drusiana non gli è stata fedele, la prenderà in sposa. È un personaggio intraprendente quello di Menichina: coraggiosa, straordinariamente moderna, nel corso dei tre atti è sempre meno propensa e troppo scaltra per farsi manovrare da Buovo, decisa com’è nell’intento di sposarlo. E nel tentativo di riuscirci affina le sue arti seduttive, rivelandosi molto simile alla ben più celebre protagonista della commedia  goldoniana La Locandiera.

Le due ragazze devono, però, nascondere l’arrivo dei giovani a Capoccio, un mugnaio assai fedele a Maccabruno, di certo per codardia e non per sincera devozione. Eppure, l’impresa appare ardua, quanto verificare la fedeltà di Drusiana, personaggio molto ambiguo e squisitamente complicato. La donna in questione è stanca di aspettare il ritorno di Buovo e vorrebbe sposare l’usurpatore del suo trono. E, inizialmente, pare una scelta di comodo, ma più la trama progredisce, più si comprende che la fanciulla è seriamente innamorata di Maccabruno. Vive una tormentata guerra interiore tra quello che dovrebbe fare, cioè aspettare Buovo, e quello che vorrebbe fare, ovvero sposare il suo rivale, a sua volta perdutamente innamorato di lei. Si preoccupa della sua salute più che del regno, tanto da chiamare medici a destra e a manca per farla guarire, ignorando del tutto il campo di battaglia che le siede all’interno. Buovo e Striglia si presentano a corte travestiti da medici e scoprono l’amara verità.

Il cavaliere tenterà di farle cambiare idea, ma otterrà solamente un incrementarsi dei sensi di colpa di Drusiana e della rabbia di Menichina. Eppure, giunge una notizia che porta un senso di pace, almeno nella promessa di Buovo: questi è morto. Adesso Drusiana non necessita più di mentire e può sposare il suo amato. Buovo ne approfitta per riprendersi il trono, ma una volta riuscito non si vendica di Maccabruno o di Drusiana: concede a entrambi un marchesato da governare, oltre che la sua benedizione. Intanto, sposerà Menichina.

È incredibile quanti elementi di novità siano presenti in questa commedia: innanzitutto, Buovo non sposa Drusiana, come ci si aspetterebbe, ma la povera figlia di un mulinaro, Menichina, un personaggio fuori dagli schemi e che non manca di essere irriverente con Buovo, specialmente nel terzo atto. Per non parlare di Maccabruno, che non impersona il solito cattivo, ma un personaggio impulsivo, affatto senza cuore, di cui Drusiana finisce con l’innamorarsi, sebbene sia così difficile ammetterlo, visto che non sta bene perdere la testa per il cattivo e scordarsi del buono (Buovo, in questo caso). E motore di questa storia sono i personaggi femminili, che Goldoni rende il centro dell’azione, concedendo loro la possibilità di avere l’amore che desiderano, anche se si tratta del cattivo.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.