Primo PianoTeatro e DanzaLe due vite di “Interiors” di Matthew Lenton e il paradosso della Nave di Teseo

Francesca Liguoro31 Agosto 2019
https://lacittaimmaginaria.com/wp-content/uploads/2019/08/dvdvd.jpg

«Sognavo, guardando le luci accese dietro le finestre, ogni volta che camminavo verso casa nel freddo inverno del Nord». Questo il primo ricordo del regista scozzese Matthew Lenton a proposito della nascita dell’opera teatrale Interiors, una creazione originale di Vanishing Point di Glasgow – la compagnia teatrale di cui Lenton è fondatore e direttore artistico – che, a dieci anni dal primo allestimento realizzato per il Napoli Teatro Festival, è tornato in scena con debutto al Teatro Sannazaro di Napoli lo scorso maggio, prodotto in esclusiva per il nostro Paese, da Tradizione e Turismo, Centro di Produzione Teatrale ed Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro con un nuovo cast, tutto italiano.

«Osservavo quelle luci dietro le quali la vita delle persone veniva vissuta. Quelle vite che dalla finestra apparivano così calde e invitanti. Cosa accadeva realmente lì dentro? Cosa volevano davvero?». Ispirato da queste domande, Interiors mette in scena un ritratto di interni. Una riunione tra amici in una casa avvolta nel freddo glaciale di un non identificato Nord Europa, circondata da neve e animali selvatici, si svolge dietro una finestra.

photo by Piero Quaranta

Noi spettatori non siamo invitati al convivio. Chiusi fuori, osserviamo i preparativi della cena, la tavola allestita con cura, la disposizione degli ospiti, l’arrivo graduale dei commensali. Alcuni si conoscono già, alcuni arrivano in coppia, altri sono soli. Tutti imbracciano un fucile. O una pistola. Per gli animali selvatici? Si liberano dei cappotti, si accomodano, chiacchierano, si divertono. Noi siamo lì a osservarli, non una parola udibile, non un rumore. Siamo al di qua di quel mondo, a spiare la loro intimità, cercando di capire o meglio di immaginare le loro verità.

Ma non tutto è come sembra. Un nuovo buio si insinua: drammi interiori, fantasmi del passato, assenze, dolori umani affiorano gentili in questo allegro giardino, mentre noi da osservatori diventiamo osservati da chi si avvicina a quella finestra, in cerca di qualcosa. Lo spettacolo, rimesso in scena con nuovo cast in esclusiva per l’Italia, ufficialmente corrisponde alla versione originale. Eppure, come una melodia suonata in scala diversa, la nuova messa in scena ha una tonalità nuova, un anelito sconosciuto. «Se hai una barca e nel corso degli anni sostituisci ogni singolo pezzo in modo tale che non resti nulla degli elementi originari, sarà la stessa barca?».

photo by Piero Quaranta

Riprendendo il paradosso filosofico della nave di Teseo, che si dice sia stata conservata intatta negli anni sostituendone le parti che via via si deterioravano, arrivando dunque al punto in cui tutte le parti usate in origine per costruirla non esistevano più, Matthew Lenton descrive il suo viaggio in Italia. Rimettere in scena il suo spettacolo ricostruendolo pezzo per pezzo, affondando in una cultura diversa, dotata di una imprescindibile tradizione teatrale, avrebbe riprodotto lo stesso spettacolo? Quali sono le implicazioni di significato all’interno di un’operazione tanto coraggiosa e complessa? Quanto questo spettacolo dista (se dista) dalla versione originale? E se questa distanza è rilevata a dispetto di un allestimento rigorosamente fedele all’originale, quali sono le conclusioni?

Nel corso delle prove per il nuovo allestimento, l’autore ha in più di un’occasione enfatizzato il carattere universale di quest’opera, per lui ambientata ovunque e per chiunque. «Che sia messo in scena a Buenos Aires o a Santiago, Shanghai o Mosca, Parigi o Londra, Bruxelles o Roma, i personaggi sono e restano universali».

photo by Piero Quaranta

Tuttavia, assistere al nuovo allestimento di Interios svela fin dalle prime immagini un sapore squisitamente diverso. Nella sua versione nordica, Interiors è uno spettacolo algidamente magico, poetico e malinconico a un tempo, che trasporta lo spettatore nella dimensione dello spirito. Nello spazio arcano che separa l’attore dallo spettatore, mediato in entrambi i casi da una figura-angelo che, unica, personifica un narrato minimale e assorto, aleggia la luce bruna del Nord che getta un pallore lunare e fantasmatico sugli elementi.

Per contro, questo nuovo allestimento italiano vira sorprendente verso una fenomenale “incarnazione” dello spirito. La composta allegria si fa intima e sensuale festosità, la quieta melanconia tramuta in dramma caldo, sanguigno. La ricerca di una qualunque salvezza spezza gli animi, tutti, in una accorata disperazione. La nota spiritualista, eco delle antiche leggende, diventa viva e verace carnalità muscolare di sentimenti, sorrisi, lacrime, speranze, paure. Ovunque e per chiunque, sì, ma con tonalità diverse. Lo spettacolo non muta scenari né personaggi, i contenuti narrativi non subiscono variazioni, eppure il riallestimento partenopeo cambia corpo, si riempie di un’altra anima, di un’altra storia, di un altro vissuto, di un’altra visione esistenziale, in un passaggio verso un’esperienza spettatoriale sentitamente e sentimentalmente viscerale.

Francesca Liguoro

Lavora da vent'anni in ambito teatrale: comunicazione, promozione e marketing presso enti, fondazioni, teatri, compagnie. Al timone un'impostazione narrativa, una messa in racconto del singolo artista o dello spettacolo, della stagione teatrale o del progetto futuro. Comunicare è raccontare una buona storia.