LetteraturaPrimo PianoL’amore orgogliosamente taciuto in “Molto rumore per nulla”

Adele Porzia10 Febbraio 2022
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Harold Bloom, uno studioso che conosceva molto bene William Shakespeare, si era sempre stupito del fatto che, sebbene non fosse uno dei capolavori comici del drammaturgo, il pubblico ricordasse così bene una commedia come Molto rumore per nulla, al punto da rendere quel suo titolo una frase proverbiale, da adoperare quando si fanno tante storie e si strepita per avvenimenti che non meriterebbero una simile agitazione. Eppure, quando si parla di sentimenti è così. Al cuore non si comanda e forse per questo Molto rumore per nulla è stato da sempre un successo popolare annunciato. Non ha la profondità che caratterizza Il mercante di VeneziaIl racconto d’inverno, né l’euforia di Sogno di una notte di mezza estate e non ha la difficoltà stilistica e retorica di Pene d’amor perdute, che qualcuno ha definito «una commedia per il pubblico e un vero dramma per ogni attore». Eppure, Molto rumore per nulla ha in sé il segreto ultimo di ogni commedia, tanto che potremmo definirla il compendio di tutte le geniali trovate di quei grandi ideatori della commedia che hanno preceduto William Shakespeare. Quell’orgoglio che porta i personaggi a tacere i propri evidenti sentimenti, quel preferir negare fino all’impossibile, scegliendo un inutile e orgoglioso baccano alla sincerità: il cuore di ogni commedia di successo.

Tale testarda ritrosia è, quindi, l’anima di questa commedia, seppur grossolana, seppur di un ancora giovane e inesperto Shakespeare. Il battibeccare, per la precisione, tra Beatrice e Benedetto, due personaggi agli antipodi, opposti fino al midollo e per questo vittima del favoloso proverbio che vuole che due anime in perenne contraddizione si amino follemente, senza possibilità di scampo. E, infatti, sin da quando si alza il sipario e si tenta di tessere le lodi di Benedetto, soldato senza paura, è impossibile fermare Beatrice, pronta a insultarlo con la potenza della sua lingua. Benedetto risponde, eccome se risponde, ma non riesce a tenerle testa. Lo spettatore di ogni tempo ride per questo testardo sparare a salve da ambo le parti, ma saggiamente sa che questi accorati insulti nascondono un turbamento. E come accade agli amanti migliori, c’è bisogno di una bella spinta da chi vi è intorno. È così che il brillante Don Pedro decide di smuovere un po’ le cose, stuzzicando l’ego e il cuore di questi ritrosi e orgogliosi innamorati. In accordo con gli altri personaggi, che fanno piuttosto da cornice ai due battaglieri amanti, fa in modo che Benedetto creda che Beatrice sia innamoratissima di lui, ma restia ad ammetterlo, e lo stesso fa con la ragazza. Inizialmente se la ridono, ma poi finiscono col rimanere invischiati nel crudele giogo dei sentimenti e finiscono col cedervi, dopo aver a lungo mentito a loro stessi. È una storia d’amore disseminata di ostacoli interiori, naturalmente a lieto fine, ma che tiene il pubblico con il fiato sospeso fino alla fatidica ammissione di entrambi.

È decisamente diversa da un’altra storia d’amore che prende vita in questa commedia: quella tra la fanciulla Ero e il potente e innamoratissimo Conte Claudio. Un fuoco, il loro, che avvampa subito, senza che vi sia la possibilità di spegnerlo. O, almeno, questo credono i presenti e chi è coinvolto. Il Conte, deciso più che mai alla conquista, inizialmente accetta l’aiuto di Don Pedro, esperto nelle faccende d’amore, e durante una festa in maschera lascia che l’amico si finga lui medesimo, parli con Ero e pronunci quella frase non poco celebre, che molti spesso fanno erroneamente risalire a Romeo e Giulietta: «Parlate basso, se parlate d’amore». E durante quel ballo in maschera gli spettatori temono che l’uno ceda al fascino dell’altra e che Don Pedro dimentichi la promessa fatta al giovane Claudio di facilitare l’amore tra lui ed Ero. E, per un attimo, perfino il nostro Conte pare convinto che il suo amico abbia adoperato il suo “charme” per avviluppare la giovinetta.

Fortunatamente, l’amico è leale e, forse, già consapevolmente innamorato della madre della ragazza, Innogen. Ma è una coppia tardiva, che si crea solo nel lieto epilogo della commedia. E si vede che entrambi sono maturi, perché non hanno bisogno di fare tanto rumore, per l’appunto. Eppure, anche se sembrerebbe andare tutto liscio, perché i due sono desiderosi di sposarsi quanto prima, le malelingue (spesso rappresentate da tre loschi figuri mascherati e incappucciati), invidiose di tanta innocenza e di un tale affetto, gettano fango su Ero e ingannano il giovane sposo, facendogli credere che la giovane si sia concessa a qualcuno prima del loro matrimonio. Claudio, deluso oltre l’inverosimile, umilia la ragazza durante le nozze, l’accusa di un tradimento che la fanciulla non ha commesso. E tanto è il dolore della povera Ero, che quest’ultima sviene. Perché il Conte si penta della sua ingiusta cattiveria viene anche simulato il suo funerale, finché tutto non si conclude felicemente.

E, così, si è fatto ancora una volta tanto rumore per nulla, come spesso avviene ogni giorno. Perciò non dovremmo stupirci di un tale successo popolare: questa commedia è dinamica, inaspettata, dal ritmo incalzante, caratterizzata da un lieto fine che è una conquista da celebrare, come l’amore orgogliosamente taciuto e negato, ma poi ritrovato.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.