È incredibile constatare, ogni volta che ci si imbatte in una notizia originale su qualche scrittore, che gli storici e gli studiosi – crudeli amministratori dell’informazione – abbiano deliberatamente nascosto episodi tanto divertenti ai poveri lettori. I quali, naturalmente, continuano a deambulare e a barcollare nel buio, senza il conforto di notizie assurde e spiritosissime che potrebbero mutare radicalmente lo studio e la lettura di quei libri colossali e monumentali, che da sempre atterriscono e intimoriscono. Fatti curiosissimi, impunemente taciuti, nascosti. E un tale danno viene perpetrato per quel testardo tentativo di preservare a tutti i costi l’alone quasi divino che attornia gli idoli e le grandi menti che hanno mutato considerevolmente, se non radicalmente, la nostra esistenza. Eventi – in fin dei conti – piccoli, che da soli valgono poca cosa, ma che opportunamente inseriti nel contesto giusto, provocano stupore. Come, per esempio, sapere che a Giacomo Leopardi piacesse tanto la cioccolata da soffrire per una tremenda indigestione perfino il giorno in cui è morto.
Per ora, limitiamoci a un evento singolarissimo su Gustave Flaubert, intrattabile scrittore francese, dal carattere superbo e altezzoso, nato non a Parigi, ma a Rouen, realtà provinciale che grandemente bersaglierà nelle sue opere. Flaubert aveva in comune con il suo coetaneo Charles Baudelaire un amore irrefrenabile per l’Oriente. Una passione smodata, che condivideva con i suoi amici più cari, in particolar modo con Maxime Du Camp. Ed è proprio con questo suo carissimo compagno che affronterà un’avventura straordinaria in Egitto, uno di quei viaggi che mutano radicalmente un uomo. E il lettore non può immaginare fino a che punto.
È bene premettere che Flaubert aveva perso prematuramente la maggior parte dei suoi fratelli e, quando morì suo padre, si ritrovò a ventotto anni con l’intera eredità e con la possibilità di farne quello che voleva. Perciò, una volta intascata la somma, organizzò questo viaggio, su cui fantasticava sin dall’adolescenza. Lo comunicò alla madre e quest’ultima, dopo aver pianto per giorni e aver pregato il figlio di non andare, acconsentì. Non che avesse altra scelta. Ma doveva scriverle ogni giorno e Flaubert non se la sentì di negarle quest’unica consolazione.
E così, nell’ottobre del 1849, tutto era pronto e questi due fanatici dell’Oriente arrivarono a Marsiglia, si imbarcarono e, dopo una lunga e burrascosa traversata, raggiunsero la città di Alessandria circa un mese dopo. E qui i due amici si scatenarono e visitarono in lungo e in largo l’Egitto, finché il caso non volle che capitassero ad Esna, una cittadina sulla riva occidentale, a pochi chilometri da Luxor. Decisero di passare la notte in una specie di osteria e seppero che proprio lì vi era una famosissima prostituta. Era una vera e propria celebrità per chiunque si interessasse di Egitto e leggesse i diari di viaggio dei pochi fortunati viaggiatori, perché – oltre a vantare una straordinaria bravura in faccende immaginabili – era coltissima e parecchio saggia. Il suo nome era Kuchuk Hanem. E allora, consapevoli del detto latino «fortuna habet suam rationem», presero quel colpo di fortuna per segno del destino.
Questa donna non era affatto bella: aveva un monociglio che le prendeva quasi tutta la fronte, era piuttosto pelosa e dalle forme fin troppo generose. Aveva perfino qualche dente cariato e un alito tremendo. Eppure, il suo fascino era sufficiente a costringere ogni viandante a una sosta e le sue abilità amorose certamente non avevano fatto pentire nessuno della scelta. Almeno, non immediatamente. Per Flaubert emanava il caldo ed esotico profumo dell’Oriente, tanto che spesso si era trovato a fantasticare su di lei. E tutta quell’immaginazione non deluse le aspettative, ma accrebbe la magia di quell’incontro. Passò, racconta in una lettera, una delle più belle notti della sua vita.
Trascorse circa un anno e Gustave decise di tornare a casa: subito scrisse a sua madre che sarebbe presto rientrato in Patria. E quest’ultima, così impaziente di rivedere suo figlio, gli propose di incontrarsi a metà strada. Roma fu la meta prescelta, perché così ne avrebbero approfittato per fare visita a degli amici di famiglia. Naturalmente la madre non poteva aspettarsi quello che sarebbe accaduto lì, in quelle strade tanto gremite e popolate, in quel continuo viavai di carrozze. Possiamo solo immaginare lo spavento e lo strazio di quella povera donna, quando vide avvicinarsi un uomo così invecchiato, privo della chioma folta che aveva prima di partire e dell’intera arcata dentaria. Insomma, il pallido riflesso di suo figlio.
Perché, ahinoi, Gustave Flaubert si era preso la sifilide durante quell’indicamenticabile notte con la celebre prostituta di alto bordo. E poco ci mancò che svenisse, quella povera donna; senz’altro rimase sconcertata, ma presto si abituò al nuovo aspetto del figlio. Seppure i capelli presto crebbero, contrariamente ai denti. Eppure, di quella notte, Flaubert continuò a scrivere e a parlare, ma col tempo le prodezze della donna furono dimenticate, ma non il regalo che aveva lasciato al caro nostro scrittore. Fortunatamente nei ritratti e nelle fotografie dell’epoca, nessuno mostrava mai i denti.

Adele Porzia
Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.