LetteraturaPrimo PianoLa verità “altra” della letteratura e la sua indicibile pericolosità

Adele Porzia4 Novembre 2021
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Antonio Tabucchi, scrittore italiano e studioso di letteratrura morto nel 2012, è stato spesso invitato a parlare di letteratura. In uno dei suoi saggi più importanti, raccolti nel libro Di tutto resta un poco, Tabucchi riflette proprio sulla letteratura, sul lascito di quest’arte sopravvissuta anche ai regimi antidemocratici, che ancor prima di ammazzare i dissidenti, bruciano i libri – soprattutto quelli d’argomento letterario – perché offrono «una visione del mondo differente da quella imposta dal pensiero dominante, o per meglio dire dal pensiero al potere, qualunque esso sia. È il dubbio che ciò che l’istituzione vigente vuole sia così, non sia così».

Ma perché dovrebbero essere bruciati dei libri? E perché specialmente quelli di letteratura? Non parliamo, in fondo, che di storie inventate, di personaggi mai esistiti che agiscono in un mondo talvolta molto diverso da quello in cui viviamo? In che modo un romanzo può essere un problema per un’entità statale? Si tratta di domande complesse, cui non si può rispondere con facilità.

Alessandro Manzoni, in una celebre lettera indirizzata al marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, nel difendere la nascente corrente romantica, che in quegli anni stava sempre più prendendo piede, espose la sua poetica. Dopo aver scritto che un romanzo dovesse avere «l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo», affinché l’opera letteraria arrivasse al vasto pubblico e trasmettesse quello che andava trasmesso, si mette a spiegare cosa significhi avere il vero per soggetto. Si tratta di un concetto, infatti, che necessita di ulteriori spiegazioni e Manzoni tenterà di fornirle più avanti.

Così scrive al suo interlocutore: «Ella sa meglio di me che il vero tanto lodato e tanto raccomandato nelle opere d’immaginazione, non ha mai avuto un significato preciso. Il suo ovvio e comune non può essere applicato a queste, perché di consenso universale, vi debbe essere dell’inventato, cioè del falso. Il vero che debbe trovarvisi da per tutto, et même dans la fable, è dunque qualche cosa di diverso da ciò che si vuole esprimere ordinariamente con quella parola; o per dir meglio è qualche cosa di non ancor definito; né il definirlo mi pare impresa molto agevole, quando pure ella sia possibile».

Il vero, quindi, può esistere anche all’interno di un’opera di fantasia. Manzoni intende riferirsi alla verità storica e alla verità morale, specie alla seconda, che per lo scrittore deve avere una parte predominante e fondamentale, poiché un romanzo, un’opera di fantasia, un’opera scritta in genere, deve sempre fornire un insegnamento. Ma nel caso di un romanzo, in cui tutto è invenzione, può esserci del vero? Certamente, poiché può essere che la storia in sé sia un pretesto per nascondere e rivelare una verità “altra”, posta su un altro piano rispetto alla realtà, eppure allo stesso modo portatrice di insegnamenti utilizzabili nella vita di tutti i giorni, anche a molti anni di distanza. Possibile che un’opera di fantasia celi al suo interno molto più di quanto si possa immaginare?

Basti pensare che il primo romanzo italiano, o perlomeno quello che consideriamo come tale, sia stato scritto durante l’occupazione straniera. L’Italia era disunita e sotto il dominio austriaco. Il governo controllava la stampa, che nello Stivale stava lentamente riscoprendo le sue potenzialità, e censurava tutto ciò che potesse essere deleterio alla sua autorità, tutti i libri che ispirassero pensieri rivoluzionari in un periodo assai vivo, in cui tutta l’Europa pareva essere in rivolta, specie la vicinissima Francia.

Uno scrittore, un intellettuale, è in perenne pericolo di morte e di esilio. Ha poche possibilità di far sentire la propria voce ed è spesso costretto a parlare tramite metafore, a confondere le acque, in modo che il suo messaggio non sia del tutto comprensibile ai suoi nemici. Può essere decodificato, certo, ma solo dai suoi destinatari. I promessi sposi ha un preciso messaggio: sin dall’inizio, dalla proverbiale descrizione di «quel ramo del lago di Como», Manzoni vuole risvegliare l’amor proprio degli italiani. Sembra dire: «Osservate la vostra bellissima terra, vi sembra giusto che non vi appartenga?».

Parlando della dominazione spagnola, intende riferirsi all’attualità degli invasori austriaci; descrivendo il coraggio di questi cittadini umiliati e offesi, si riferisce al loro tentativo di cercare la felicità, del loro fortunato trionfo. E così facendo, attraverso quello specchio che è il romanzo, risveglia profondi sentimenti, con la stessa potenza degli inni di battaglia prima di un importante combattimento. La letteratura è pericolosa in un regime antidemocratico, perché anche se sembra parlare di tutt’altro, in realtà parla di noi, del presente. Instilla il dubbio, quando non dovrebbe esserci altro che un’inscalfibile certezza. È pericoloso risvegliare le coscienze, cosa che senz’altro rischia di avvenire dopo una prolungata esposizione alla parola scritta.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.