LetteraturaPrimo PianoI protagonisti delle novelle di Luigi Pirandello, prigionieri senza alcuna via di scampo

Monica Di Martino7 Giugno 2022
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Nell’ambito della sconfinata produzione di Luigi Pirandello, un posto particolare occupano le novelle. Il poeta agrigentino le scrisse, in maniera più intensa, nei primi quindici anni del Novecento; si tratta di una vasta produzione destinata alla pubblicazione su quotidiani o riviste. Esse furono comunque raccolte in volumi: il primo fu Amori senza amori, a cui seguirono Beffe della morte della vita, Quand’ero matto e molti altri, fino a Berecche e la guerra. La sistemazione globale – in ventiquattro volumi – avvenne qualche anno più tardi, con il titolo di Novelle per un anno.

La ricerca di un ordine determinato è pressoché impossibile: troviamo, infatti, un’infinita molteplicità di situazioni, casi e personaggi che rispecchia la visione globale del mondo propria di Pirandello; un universo non ordinato e armonico, ma sfaccettato in una miriade di aspetti. Tuttavia, sul piano dell’ambientazione, è possibile distinguere tra quelle collocate nella Sicilia contadina e quelle focalizzate su ambienti piccolo borghesi. Lungi dall’identificarsi con il Verismo, la serie ambientata in terra siciliana riscopre un fondo ancestrale e folklorico, deformando grottescamente il mondo contadino. Il filone delle novelle “romane”, invece, racconta un mondo piccolo borghese nella sua condizione superficiale e meschina, metafora di una condizione esistenziale propria dell’uomo nel suo complesso.

La “trappola” di cui questi protagonisti sono prigionieri è sovente costituita da un lavoro meccanico, che frustra chi è chiamato a compierlo. A questi personaggi, peraltro, non si propone alcuna via d’uscita: la loro insofferenza non può che esplodere in gesti inaspettati e folli, come quello del protagonista della novella Il treno ha fischiato. L’opera ha la struttura dell’inchiesta che si prefigge di cercare la verità che si cela dietro uno strano evento: l’improvvisa follia di Belluca. Di questo impiegato modello viene offerto, solo in un secondo momento, il ritratto di lavoratore puntuale e ligio. Con la ricostruzione della personalità e della vita ordinaria di Belluca, emerge un ambiente piccolo borghese dominato dal grigiore, emblema della condizione dell’uomo imprigionato all’interno della squallida condizione impiegatizia. Il flusso vitale ne appare mortificato perché vittima di un meccanismo ripetitivo e monotono, costituito – nel caso di Belluca – dal lavoro di computista, che non concede un attimo di tregua e isola totalmente dalla vita il protagonista della novella.

Portando deliberatamente all’assurdo certe situazioni, esse non possono che provocare il riso; la condizione dell’uomo che si sacrifica per far mangiare la famiglia, appare perfino ridicola. Forzando all’inverosimile certi casi comuni della vita, lo scrittore sottolinea che la legge che li governa non è un rapporto deterministico di causa ed effetto, bensì una casualità nella quale non è possibile scorgere alcuna coerenza. La spiegazione del mistero di Belluca si chiarisce con un fatto banale e apparentemente insignificante: il fischio di un treno. Nel silenzio della notte, basta questo evento a far prendere coscienza al protagonista della vita che scorre al di fuori della trappola in cui è recluso; la scoperta genera comportamenti folli perché l’irrompere della verità non consente più di sopportare il grigiore quotidiano. La presa di coscienza, tuttavia, non si traduce in una “rivolta” totale; Belluca tornerà nel consueto meccanismo ma, perlomeno, avrà trovato una valvola di sfogo: la fantasia che gli consente un attimo di evasione per sostenere il peso di ciò che lo imprigiona. Questa è la sua unica consolazione.

Monica Di Martino

Laureata in Lettere e laureanda in Filosofia, insegna Italiano negli Istituti di Istruzione Secondaria. Interessata a tutto ciò che "illumina" la mente, ama dedicarsi a questa "curiosa attività" che è la scrittura. Approda al giornalismo dopo un periodo speso nell'editoria.